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Geotermia ad Ischia

di Lucia Manna. A Ischia si prevede una ricerca di risorse energetiche nel sottosuolo al fine di utilizzarle per la produzione di energia elettrica. Le falde acquifere da raggiungere sono in profondità molto più elevate di quelle che utilizziamo per l’uso termale. Qualora si giungesse alla conclusione di tale ambizioso progetto, l’isola d’Ischia si doterebbe di una autonomia energetica e a basso costo. La notizia ha provocato panico e disappunto e trpolemiche sui mas media e molti attenti osservatori temano le conseguenze delle perforazioni. Le reiniezioni di fluidi secondo il prof. Franco Ortolani potrebbero innescare una sismicità che può risultare dannosa ai manufatti e per la sicurezza dei cittadini.

Uno degli esperti sul territorio è il dott. Bartolomeo Garofalo “Geofisico” (in copertina). Bartolomeo Garofalo lavora a Livorno e spesso all’estero per consultazioni. All’esperto chiediamo con quale criterio si procederebbe essendo il nostro territorio instabile, visto i precedenti terremoti. E quali siti verrebbero presi in considerazione. Il geologo nostrano ha illustrato sapientemente la situazione anche con un grafico (che alleghiamo in fondo). La semplicità tecnica con cui si espresso Bartolomeo Garofalo non lascia dubbi sulla visione in generale dell’eventuale perforazione. Al dott. Garofalo la parola:

”Il campo vulcanico che ha formato l’isola d’Ischia è alimentato da magmi che raggiungono temperature fino a 1000° C. I serbatoi nei quali sono contenuti tali magmi si trovano ad una profondità relativamente bassa ed è per questo motivo che l’isola ha sempre goduto, a memoria d’uomo, della straordinaria risorsa idrotermale che l’ha resa famosa in tutto il mondo. La superficialità di tale fonte di calore innesca, infatti, dei meccanismi che consentono ai fluidi che si infiltrano nel sottosuolo (acque piovane, acqua di mare, gas) di riscaldarsi, di mescolarsi tra loro e di arricchirsi di ulteriori minerali e gas provenienti dal sottosuolo. In un territorio di estensione così limitata si contano numerosissime sorgenti caratterizzate da contenuti minerali estremamente diversi da sorgente a sorgente.
Le acque utilizzate negli stabilimenti termali vengono attinte dalle falde più superficiali, con pozzi che molto spesso sono profondi fino a poche decine di metri: in linea di massima la profondità di un pozzo è pari alla quota altimetrica del punto in cui viene perforato. Profondità ben diverse, invece, debbono essere raggiunte nelle perforazioni se lo scopo è quello di sfruttare le risorse geotermiche al fine di produrre energia. Tra il 1939 e il 1943 la società SAFEN iniziò una campagna di studi e di sondaggi su tutto il territorio isolano, sulla falsariga delle attività che erano state svolte con successo in Toscana, nella zona di Larderello e che aveva portato all’installazione degli impianti per l’energia geotermica più importanti d’Italia. A Ischia numerose perforazioni furono effettuate o osservate in località Fumarole, Maronti, Citara e Monte Tabor, dove venne eseguita un’unica perforazione che incontrò acqua a 90° a circa 95 m di profondità. Un totale di circa 80 perforazioni fu direttamente realizzato o osservato nell’ambito dello studio, con profondità fino a 330 m (Fumarole) e con temperature delle acque che si aggiravano sui 90° con punte fino a 175°. Altri sondaggi dovevano essere effettuati nella zona di Montecorvo, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mise fine a tutte le attività. Al Rione Bocca fu effettuata la perforazione più profonda, fino a 1051 m. Queste perforazioni dovevano servire a stabilire le caratteristiche dei fluidi termali. La conclusione più importante, fu che successivamente alla perforazione di numerosi pozzi anche relativamente vicini, la temperatura misurate nei fluidi non accennava a diminuire se non di pochi gradi. In altre parole, si giunse alla conclusione che un uso pure intensivo della risorsa geotermica non avrebbe modificato nel tempo le caratteristiche della risorsa stessa. Studi più recenti hanno consentito di stimare in qualcosa come 40 MW termici (1 MW=1.000.000 Watt) l’energia sprigionata solo nell’area del Rione Bocca.
Il progetto geotermico si concluse con un nulla di fatto non solo a causa della guerra, ma soprattutto per i numerosi problemi di natura tecnica che a quel tempo non erano ancora risolvibili, specialmente per quanto riguarda le incrostazioni che danneggiavano irrimediabilmente le tubazioni e le pompe. Attualmente le nuove tecnologia consentono di superare questo tipo di problemi tecnici.
Lo sviluppo delle tecnologie per lo sfruttamento delle risorse geotermiche ha avuto il suo apice con la progettazione delle nuove centrali “a fluido binario” o a “ciclo binario” (Figura 1 in basso): il fluido geotermico viene prelevato attraverso due o tre pozzi (Production well, in basso a sinistra); il fluido, attraverso uno scambiatore di calore (heat exchanger) cede calore ad un altro fluido (normalmente iso-butano) che ha una temperatura di ebollizione molto più bassa dei 100° C e che pertanto evapora e va ad alimentare le turbine che a loro volta producono energia elettrica. Dopo lo scambio termico, il fluido è reiniettato nelle formazioni di provenienza, attraverso uno o più pozzi di reiniezione mentre il vapore di iso-butano viene fatto ricondensare per rientrare nel ciclo di produzione. Il fluido geotermico – una volta ceduto il calore necessario alla produzione elettrica e prima di essere reiniettato nel sottosuolo può essere impiegato anche per fini civili e industriali oltre a produrre altra energia elettrica sfruttando la sua pressione residua.
La grande innovazione di questo tipo di centrali sta nel fatto che i fluidi prelevati dal sottosuolo non entrano a contatto con l’atmosfera, poiché rimangono sempre confinati nelle tubazioni, esattamente come succede per un termosifone che, sfruttando la circolazione di acqua calda nel radiatore, trasmette energia termica nell’ambiente in cui è posizionato. Anche il fluido a bassa temperatura di ebollizione rimane confinato nelle tubazioni e viene continuamente fatto evaporare e ricondensare. In altre parole, nell’atmosfera non vengono immessi gas potenzialmente inquinanti.
I timori legati a questo tipo di centrali sono dovuti al fatto che la reiniezione dei fluidi geotermici deve necessariamente avvenire sotto pressione. E’ un po’ come soffiare in una cannuccia immersa in una bevanda, più è forte il soffio e più grandi saranno le bolle che si andranno a formare. La reiniezione di fluidi ad alta pressione nel sottosuolo produce delle fratture nella roccia (il cosiddetto fracking) che ovviamente provocano dei micro terremoti. Nella progettazione e realizzazione di centrali geotermiche di questo tipo nel mondo viene sempre prevista l’installazione di una rete di monitoraggio sismico ad altissima densità, in modo da tenere costantemente sotto controllo la frequenza e l’intensità dei fenomeni sismici indotti.
L’isola d’Ischia è notoriamente a rischio sismico, certamente più alto di quello vulcanico. Un terremoto che avvenisse oggi con caratteristiche simili a quello che nel 1883 colpì gli abitati di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio quasi certamente produrrebbe effetti ben più gravi dei 2mila morti e delle centinaia di abitazioni completamente rase al suolo. E’ pur vero che la zona sismo-genetica dell’isola d’Ischia sembra essere confinata alla parte nord-occidentale dell’isola stessa, con una profondità ipocentrale intorno a 1 Km. Detto questo è necessario sottolineare che i microsismi indotti dalla reiniezione dei fluidi nel sottosuolo sono di un’intensità talmente bassa da poter essere avvertiti solo dai sismografi. Un’attività sismica indotta dalla reiniezione andrebbe a confondersi facilmente con l’attività sismica che è propria dell’isola.
La scelta del punto migliore per l’installazione di una centrale geotermica dovrebbe necessariamente tenere conto di questi fattori e molto probabilmente la zona dovrebbe essere lontana dal settore nord-occidentale dell’isola. Ma bisogna sottolineare che l’energia ottenuta in questo modo avrebbe notevoli vantaggi sia da un punto di vista dell’impatto ambientale che da quello dei costi. E’ stato stimato in 5 centesimi di Euro il costo per un KWh all’utente finale. L’installazione della centrale, d’altra parte, dovrebbe prevedere l’installazione di pannelli fonoassorbenti per ridurre al minimo il rumore nella zona circostante.
Con due o tre centrali siffatte l’isola d’Ischia potrebbe ottenere molto probabilmente la quasi totale autonomia energetica che renderebbe completamente inutile un altro progetto energetico ahimè già approvato, quale è la costruzione del nuovo metanodotto che arriverà a Casamicciola Terme.
Le preoccupazioni in atto sono dovute alle notizie sulla Taddei Green Power, società che ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento dell’energia geotermica sull’isola. Tale concessione scadrà a febbraio 2015 e sembrerebbe che nessuna nuova perforazione né indagine diretta o indiretta sia stato fatto in tal senso. Le attività di studio svolte tra il 1939 e il 1943 rappresentano un ottimo punto di partenza, ma è sicuramente necessario aggiungere dati alle informazioni già esistenti e allo stato attuale non è dato sapere cosa sia effettivamente stato fatto dalla TGP. Non è un caso che la concessione comprenda tutta la superficie dell’isola meno il settore nord-orientale, dove è situato l’abitato di Ischia.
Ottenere una concessione di questo tipo non implica necessariamente la costruzione di centrali geotermiche, anche perché l’impegno economico in questo caso non è trascurabile. L’autorizzazione a procedere innescherebbe una serie di reazioni a catena a cominciare dall’autorizzazione all’accesso in terreni che per il 99% a Ischia sono di proprietà privata. L’impatto ambientale, per lo meno nella fase di realizzazione delle infrastrutture, sarebbe senza dubbio notevole. E’ necessario quindi che l’interesse privato venga supervisionato dalle amministrazioni locali che dovrebbero, a mio avviso, tenere conto del parere della popolazione indicendo, ad esempio, un referendum”.

 


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