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Per i nostri figli il posto di lavoro si chiamerà “voucher”

di Ennio Anastasio. Sette euro e 50 centesimi di paga netta l’ora, più un euro e trenta di contributi all’Inps per la pensione e settanta centesimi per l’infortunio Inail. Se aggiungiamo altri 50 centesimi per il mantenimento del sistema di gestione fanno dieci euro pieni pieni. E’ questo il nuovo strumento inventato per chi vuole lavorare, senza distinzione tra il disoccupato da tempo, lo studente, e chi è alla prima esperienza di lavoro. Un po’ come il “progetto-lavoro giovani” che si utilizza di tanto in tanto nei Comuni a mo’ di panno ricoperto di zucchero per attirare le mosche. Una cacchiata da poco più di quattrocento euro mensili per quattro o cinque ore lavorative giornaliere dal lunedì al giovedì per portare scartoffie da un piano all’altro o per inserire noiosi dati nelle caselle di un computer o a metter ordine negli schedari ma con l’illusione del posto di lavoro che non c’è. E’ questo che viene proposto ai tanti giovani laureati e purtroppo solo questo: pochi, pochissimi mesi e per pochi spiccioli a subirsi il “cazziatone” di turno per aver fatto male qualcosa, forse avendo avuto il coraggio di pensare, o la coccola bella come ad un cagnolino perchè sei stato al tuo posto senza muoverti di un centimetro. Opportunità dal valore zero da raccogliere come briciole dopo anni e anni di studi e che servono soltanto ai politici di turno ad ingrassare il proprio bacino elettorale e a permettergli di dire “ho messo tuo figlio col piede dentro, ci sono tanti che vorrebbero stare al suo posto”. Già, il “posto”, ma è l’amarezza l’unica cosa che rimane in bocca al termine di questo falso ingresso nel mondo del lavoro, un’amarezza profonda che arriva fin nello stomaco, più acida di un yogurt. Ma poi, se vogliamo, è proprio quella che spinge a dire: “fanculo a questa miseria, la mia strada è altrove”, è proprio quella che fa scappare le menti migliori, i cervelli, i più forti d’animo altrove, e a volte anche all’estero. Ma ritorniamo ai voucher, che bella trovata sono, in pratica rappresentano il nuovo posto di lavoro, un mezzo subdolo che non ti permette di trovare un’identità perché con il tagliando di fondo azzurro puoi fare di tutto: il postino, l’idraulico, il cameriere, il badante e persino il professore universitario. Con il voucher, questa brutta parola inglese, si compra semplicemente un’ora od anche più di lavoro demolendo quella che deve essere la natura, a volte anche complessa, della regolazione del rapporto diritto-dovere tra datore di lavoro e lavoratore e ben dichiarata in ogni contratto, anche il più fragile. La nuova classe sociale, soprattutto quella dei giovani, non riesce più ad inquadrarsi in un ruolo specifico e cioè quello che il lavoro ti assegna, e la cosa più deludente è che avere titoli di diversi livelli di studio oggi non fa più alcuna differenza : il popolo dei voucher, cioè quello dei “buoni-lavoro”, annulla l’identità delle professioni, il tutto è racchiuso in un contenitore economico: il prezzo di un “biglietto” da attivare, che sia di un’ora, di tre o di quattro. Quale sarà dunque lo sbocco lavorativo per i nostri figli in questo sistema sociale dove la concorrenza è spietata e la gara al ribasso sui compensi da corrispondere è affidata al dilagante fenomeno di questo strumento, che esprime una forma di lavoro sempre più povero? quando si parla di flessibilità vuol dire dunque solo utilizzare questo comodo passepartout? dall’albergatore, a chi gestisce parcheggi o organizza convegni fino al ristoratore che ha bisogno di più camerieri solo per i weekend, sta di fatto che persino quei fragili contratti che fino a qualche anno addietro venivano sottoscritti e che almeno rappresentavano un minimo di tutela e di identità per il lavoratore, oggi fanno parte di un passato che non corrisponde alle necessità dei tempi, perché anche la crisi economica morde ed è protagonista della sua parte. Ed allora i datori di lavoro che trovano da dire? che stabilizzare con un rapporto di lavoro a contratto continuo un dipendente conduce a spese insormontabili in termini di busta paga e pagamento dei contributi; la necessità si fronteggia al momento: acquistando il buono. A volerla dire proprio tutta, anche lo Stato vi trova convenienza perché riscuote i soldi in anticipo di una prestazione ancora da pagare ed in più si trattiene il 25% dell’importo, mica male. La campana suona nello stesso modo anche per l’Inps che si vede versare i contributi in tanti rivoli che però formano un fiume in piena. A voler poi essere anche un po’ cinici l’osservazione è questa: quando sarà restituita al lavoratore occasionale, quella parte di pensione, frazionata in questo modo così millesimale in un sistema previdenziale qual è il nostro, cioè di tipo contributivo? probabilmente non ci sono speranze o forse la soluzione è nella lettura del testo “la Vita oltre la vita” del Dott. Raymond Moody.

Lavoro saltuario, la sopravvivenza all’ombra di un ticket
Luigi, giovane laureato della nostra isola ha conseguito una triennale già da alcuni anni e da due vive di lavoro stagionale, tra l’altro inquadrato part time; ama la sua isola, Luigi, vi coltiva i suoi affetti, le sue passioni, ma sa bene che il periodo lavorativo è breve anche se intenso. D’inverno solo piccoli lavoretti come quello del cameriere di sabato o la richiesta per una cerimonia di sposalizio ma poi anche qualcos’altro in una cooperativa, quando serve, quando finalmente si muove qualcosa di più duraturo. Il sogno di un lavoro corrispondente al traguardo raggiunto negli studi lo dovrebbe realizzare fuori, intanto gli anni passano ed anch’egli ha smesso di credere nel suo stato sociale: tanti lavori e niente di sicuro. Le sue ore di lavoro, quelle occasionali, sono pagate in voucher da cambiare all’ufficio postale, se non direttamente in “cash” e di contratto neanche a parlarne. È triste dirlo, ma Luigi è una realtà isolana, una testimonianza a noi vicina di quel lavoro saltuario che si è costretti ad accettare pur di non rimanere a casa. Vi è poco da fare, il futuro dei nostri ragazzi soffre di questa smaterializzazione del lavoro che si vive da tempo e che rappresenta la vera precarizzazione, il vero attacco al contratto stabile di lavoro, quello vero, quello che ti offre sicurezza, quello su cui si può fondare una famiglia,quello che permette di riconoscerti in un’identità stabile.

Nel 2015 voucher per un 1miliardo e duecento milioni di euro: una trasformazione economica
Sono i nuovi posti di lavoro, i dati parlano chiaro: nell’anno precedente, imprese, commercianti, e perfino alcuni settori pubblici hanno acquistato buoni lavoro per oltre un miliardo di euro con il fatto che questo “boom” rappresenta l’apice del successo dell’instabilità lavorativa e della violazione dei più elementari diritti della persona: oggi chi lavora, suo malgrado, in questo modo, non ha diritto ad ammalarsi, né tanto meno a curarsi, ad ottenere un mutuo per la casa, ad avere delle ferie pagate o riposi, ad aver riconosciuto il diritto alla maternità, già, quello di poter mettere al mondo dei figli per poi poterli crescere ed educare. In un leggero rettangolino di carta prestampata, poco più grande di un biglietto metrò, si vogliono affossare le grandi conquiste umane e sociali, nonché i più elementari diritti del vivere con dignità. E tutto questo in nome di una flessibilità che altro non è che “lavoro -spazzatura” cioè accettare di fare quello che ti capita, pur di sopravvivere.


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