“Libera”: inaugurato il presidio sull’isola d’Ischia

di Emanuele Verde. Per raccontare l’emozionante inaugurazione del presidio di “Libera” sull’isola d’Ischia conviene partire dalla fine, dalle parole con cui il dirigente scolastico, nonchè padrone di casa, prof. Mario Sironi ha concluso i lavori: “la mia generazione – ha detto il preside dell’Istituto Alberghiero V. Telese – è stata la generazione del sequestro Aldo Moro, del terremoto del 1980 e dell’uccisione di Giancarlo Siani. È stata anche la generazione dell’attentato al rapido 904 Napoli-Milano in cui perse la vita l’ischitana Federica Taglialatela. Alla scuola, alle istituzioni il compito di ricordare tutti questi tragici episodi, perchè ci sono ‘scadenze’ più importanti di quelle burocratiche da cui spesso viene bloccato chi fa il mio mestiere“. In apertura, invece, Sironi ha evidenziato senza tanti giri di parole come anche a Ischia non manchino fenomeni legati alla criminalità organizzata. Il riciclaggio in particolar modo, aggiungendo, subito dopo, che anche la “cattiva politica” è un segnale del degrado della vita civile in cui nuotano le mafie.
Sulla stessa linea il Vescovo di Ischia. Un intervento breve, quello di Mons. Lagnese che forse, però, è il segnale di una presa di posizione politica della curia ischitana rispetto alle indagini ultime della magistratura sul territorio: “lschia non è un’isola felice – ha detto il presule – e la corruzione ci riguarda da vicino. L’Italia è seconda solo alla Bulgaria per diffusione del fenomeno. La Chiesa ischitana darà un apporto forte a ‘Libera’ per non dimenticare le vittime di mafia e gettare le basi per un mondo migliore“.
Dopo il Vescovo Lagnese, costretto ad andar via a causa di altro impegno, è stata la volta di Antonio D’Amore responsabile provinciale di “Libera”. Un intervento lungo e appassionato, quello di D’Amore, che non ha scansato la polemica innescata venti giorni fa dal sostituto procuratore di Napoli Catello Maresca che, senza mezzi termini, ha accusato l’ONG di Don Ciotti di dar spazio a cooperative poco affidabili, specie in Sicilia. “Ci dica quali sono – ha detto D’Amore, rivolgendosi alla platea – senza gettare ombre però sul lavoro portato avanti da Libera“.
Insomma, la polemica innescata a suo tempo da Leonardo Sciascia sul rischio dei “professionisti dell’antimafia” periodicamente riaffiora a dimostrazione della delicatezza delle questioni affrontate: su tutte, l’amministrazione dei beni confiscati. D’Amore, nel rigettare con fermezza le accuse rivolte dal magistrato artefice della cattura di Michele Zagaria, ha anche ricordato qual è la “formula” che ispira Libera: la memoria permanente delle vittime di mafia unita all’impegno civile che, oltre a passare per l’amministrazione dei beni confiscati coinvolge anche la scuola. “La mafia, infatti – ha detto D’Amore, citando Antonino Caponnetto – teme la scuola più della giustizia” aggiungendo, subito dopo, che le “domande spesso sono più importanti delle risposte“. In altri termini, alla scuola il compito di formare cittadini consapevoli e che, soprattutto, abbiano il coraggio di “parlare scomodo“.
Coraggio che di certo non manca agli esponenti del “Coordinamento Regionale Vittime Innocenti della Criminalità” presenti alla cerimonia: tra questi, la figlia e la moglie di Gaetano Montanino, il metronotte ucciso il 4 agosto del 2009 a cui è intitolato il neonato presidio ischitano. Veronica (figlia) e Luciana (moglie) hanno tenuto entrambe a ribadire che Gaetano Montanino era una persona normale, non un eroe; esattamente come persone normali e non eroi vanno considerate le altre 350 vittime innocenti morte nelle strade di Napoli e provincia.
Qualche volta, in verità, la camorra ha mietuto vittime anche senza che queste uscissero di casa: è la storia, terribile, di Giuseppe Veropalumbo, l’operaio di Torre Annunziata ucciso in casa da un proiettile vagante la sera di Capodanno del 2007. A raccontarne la storia, la moglie Carmela Serbino, nel frattempo diventata Presidente dell’Osservatorio della Legalità in Campania. È stato, probabilmente, il momento più toccante della mattinata trascorsa al Telese di Fondobosso, anche per l’assurdità di una morte di cui non si conoscono ancora i responsabili.
Molto toccante pure la testimonianza di Emilio D’Anna, figlio del costruttore edile Vincenzo D’Anna ucciso a Secondigliano il 12 febbraio 1993. Emilio, da anni, residente a Ischia, ha raccontato la storia del padre, un uomo onesto morto poco dopo aver sussurrato, ancora cosciente, all’agente di polizia del drappello: “Volevano i tre milioni. Io ho lavorato tutta una vita per portare avanti l’azienda…“. I tre milioni erano quelli che l’imprenditore aveva prelevato in banca per pagare gli operai impegnati sul cantiere. Tre giovani a bordo di una vespa avevano infatti seguito D’Anna lungo tutto il percorso dall’istituto di credito al cantiere intimandogli, appena giunto sul luogo di lavoro, l’immediata consegna del denaro. Al diniego, l’inappellabile sentenza della camorra, con un colpo alla schiena che in un attimo tronca i sacrifici di tutta una vita.
Dopo D’Anna hanno preso la parola Rosaria Manzo, figlia del macchinista alla guida del treno dove persero la vita l’ischitana Federica Taglialatela e altre 15 persone. La Manzo, in qualità di Presidente dell’Associazione delle Vittime della Strage del Treno 904, ha ribadito l’importanza di lavorare sulla “memoria” e la “consapevolezza”. L’importanza -cioè- di formare cittadini che siano allo stesso tempo consci delle pagine oscure della storia nazionale e del modus operandi della criminalità organizzata. Hanno chiuso infine i lavori Filomena Sogliuzzo, che del presidio di Libera sull’isola d’Ischia sarà la referente, e l’Onorevole Salvatore Micillo, deputato alla Camera del Movimento Cinque Stelle, in prima linea nella battaglia sulla “Terra dei Fuochi”. Insomma, è stata una bella cerimonia, perfettamente “officiata” dal prof. Mario Sironi e da Egidio Ferrante della cooperativa sociale “Accaparlante”. A quest’ultimo, il merito di aver creduto sin dall’inizio nel progetto; a noi tutti il compito ora di farlo vivere.
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