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La ricostruzione post-sismica è quella dell’isola

Un secolo e mezzo di turismo e due terremoti

di Giovanni Gugg. L’isola d’Ischia è nota fin dall’antichità per la dolcezza del suo clima, la fertilità delle sue terre e, soprattutto, per le numerose sorgenti termali e ricche di minerali, intorno alle quali si è sviluppata la sua celebrità turistica. Come riferisce Annunziata Berrino nella sua “Storia del turismo in Italia” (2011), ancora a metà Ottocento la sua offerta di servizi era alquanto modesta, perché vi erano appena «due stabilimenti non eccellenti, due buone case di salute – quella del dottor Chevalley de Rivaz e la Maison Sauvé –, un Ospedale della Misericordia molto ben tenuto e che può contenere fino a 600 persone, ma comunque privo di acqua potabile» (p. 103). Fu solo nel giugno del 1864 che il nome di Ischia fece il giro del mondo perché il generale Giuseppe Garibaldi soggiornò a Casamicciola per curare una ferita procuratasi in Aspromonte, con le acque termali dello Stabilimento Manzi (D’Ascia 1867, p. 433). Da quel momento, per circa vent’anni, la fama dell’isola crebbe, fino a quando, però, venne bruscamente annullata dalla terribile scossa del luglio 1883, che causò la distruzione proprio di Casamicciola e la morte di oltre 2300 persone.
Quel drammatico evento segnò, dice Andrea Maglio, la chiusura della «stagione d’oro del turismo ottocentesco» (2017, p. 329), portando ad un profondo cambiamento del rapporto con il paesaggio e con l’ambiente naturale e costruito, che avrebbe caratterizzato il secolo successivo e il suo turismo di massa. Fu una catastrofe nel senso etimologico del termine: dopo di essa, l’isola non fu più la stessa; si trattò di una duratura e sostanziale frattura dell’ordine sociale e delle condizioni materiali della comunità, nonché della percezione di sé stessa e del suo senso di sicurezza. In altre parole, riprendersi dal trauma e dalle perdite fu uno sforzo enorme, che durò decenni e che provocò ulteriori sofferenze, come mostrano i numeri degli emigrati a cavallo dei due secoli. Il trauma ebbe profonde ripercussioni psichiche e culturali, come testimoniò nel 1884 Giuseppe Mercalli: «Quando io mi trovavo ad Ischia i giornali riportarono la profezia (?!) d’un professore, non so se tedesco o francese, secondo la quale il giorno 15 settembre l’isola d’Ischia sarebbe sprofondata interamente. Molte persone, specialmente donne, ne erano grandemente spaventate: e volevano ch’io sapessi dire se doveva davvero aspettarsi tale catastrofe. Per tranquillizzarle, risposi che io stesso mi sarei fermato nell’isola fino al 15 settembre, tanto ero sicuro che, nello stato attuale della scienza, simili profezie non sono che ciarlatanerie di cattivo genere» (Mercalli 1884, p. 4).
In un saggio recente, l’antropologo ischitano Ugo Vuoso ha osservato qualcosa di simile per il sisma del 21 agosto 2017, quando a Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio «i soccorritori hanno potuto registrare fra gli scampati e gli sfollati svariati casi di inazione, depressione reattiva e vari altri gradi di disagio psicologico. Questa volta però il trauma collegato alla perdita del senso dei luoghi veniva rilevato e posto in evidenza dagli sfollati che erano ben consapevoli di andare incontro alla perdita della casa, della domesticità, del proprio nonesserci in quel “mondo nel quale poco prima sono stato e ora non c’è più”» (Vuoso 2019, p. 28).
A centotrentaquattro anni di distanza tra i due terremoti, l’isola ha vissuto due forti shock con morti, feriti, crolli e abbandoni, ma in entrambi i casi la ragione della calamità è stata immediatamente attribuita alle abitazioni: vecchie e fatiscenti nel 1883, abusive e “di cartapesta” nel 2017. Il processo di blaming è inevitabile in caso di disastro ed è sempre volto ad individuare una responsabilità, che in queste occasioni è coincisa con la colpevolizzazione delle vittime: alla fine dell’Ottocento fu scritto che i casamicciolesi «pur conoscendo il pericolo (buona parte dei locali in estate, ospitando i villeggianti, viveva in abitazioni effimere, con tetti coperti da canne e frasche, come riportano le cronache) ben s’erano guardati dal condividerlo con quei villeggianti che invece andarono ad infoltire il numero di morti» (Vuoso 2019, p. 28); due anni fa invece l’accento fu posto nei piani sovrelevati alle vecchie case baraccate al fine di aumentare i posti letto, in vista della trasformazione in b&b.

MUTAMENTI SPAZIALI E SOCIALI
Il sistema economico sviluppatosi sull’isola nel corso del Novecento ha spinto verso una turistificazione massiccia, che ha divorato terra, storia e cultura. Nel corso degli anni, il crescente benessere, la conseguente cementificazione e motorizzazione, nonché il sovrappopolamento di talune zone e la fuga dalle campagne, hanno condotto ad una trasformazione radicale del territorio e del suo uso: negli ultimi 50 anni sull’isola le aree urbanizzate sono più che triplicate, passando da 410 ettari a circa 1300 ettari (WWF 2018) e, parallelamente, si è drammaticamente contratto lo spazio agricolo, perché nell’80 sull’isola c’erano 1000 ettari di vigneto, con 3400 aziende, ma trent’anni dopo gli ettari si sono ridotti a 240, mentre le aziende sono 500 (Di Gennaro 2019). In una prima fase, ciò ha goduto del consenso pieno da parte dell’intera popolazione, ma in una fase più recente è emersa una necessità di segno opposto, quella di salvaguardare e riqualificare il territorio. C’è stato un tempo in cui lo sviluppo turistico-economico è stato sostenuto con favore da tutta la comunità, perché giungeva da una coesione sociale tra interessi politici e popolazione; oggi, invece, la crescita della pressione antropica è sempre più scongiurata perché associata a scenari negativi che parlano di aumento del traffico, di inquinamento, di deturpazione ambientale, di marginalizzazione degli autoctoni, di fragilizzazione sociale.
Come un effetto collaterale, accanto a importanti investimenti immobiliari che hanno prodotto grandi rendite fondiarie, negli anni si è sviluppato l’abusivismo edilizio. Da una prospettiva sociologica ed economica, si tratta di un fenomeno inquadrabile in due modi. Da un lato come un’apparente redistribuzione del reddito, motivata dal fatto che una casa, benché abusiva, valga di più della semplice terra. Dall’altro come un disincentivo delle rivendicazioni salariali nel comparto turistico (e non solo), dovuto innanzitutto alla percezione che la casa di proprietà sia un avanzamento sociale e, in secondo luogo, ad un conveniente silenzio generalizzato circa le modalità con cui questa è stata eretta. Ad una scala simbolica, ciò diventa accettabile socialmente attraverso formule autoassolutorie (“abusivismo di necessità”) e autogiustificatorie (“abusivismo di indispensabilità”), anche quando non si è dinanzi a casi di indigenza. Tali concetti non hanno alcuna base giuridica, eppure sono riusciti ad articolare intorno a se stessi un’economia in cui gravitano avvocati, geometri, ditte edili, fornitori di materiale, manovali.

ANALIZZARE IL TERRITORIO PER IMMAGINARNE IL FUTURO
Oltre agli sconvolgimenti spaziali, individuali e comunitari, ogni disastro pone sempre una questione profonda: “chi siamo veramente?”. A questo proposito, Ariel Dorfman, giornalista e testimone del terremoto cileno del 2010, ritiene che ogni crisi sia un’occasione per riflettere non solo sulle modalità e i tempi con cui rimettere in piedi infrastrutture e abitazioni, ma «anche la nostra precaria identità» (Dorfman 2010). Significa, in altre parole, affrontare questioni esistenziali che ci permettano di ricostruire la comunità, oltre alle case. Il sisma del 2017 ci impone delle domande spinose, quasi intime: cos’è oggi l’isola d’Ischia? Cosa è diventata in un paio di generazioni? Che rapporto hanno elaborato i suoi abitanti con l’ecosistema, specie in merito alla sua geologia?
Certe storture non le abbiamo viste in tempo o le abbiamo ignorate, perché in realtà qualcuno se ne accorse e ci avvertì già quarant’anni fa. La cementificazione di Ischia divenne un tema nazionale nel 1977, quando “La Stampa” pubblicò un articolo di Adriaco Luise dal titolo “Un hotel di lusso a Ischia sui resti di una necropoli”. A denunciare lo scempio non furono le autorità o i politici, bensì i bambini della scuola elementare di Ischia Porto, che scrissero un appello per preservare la loro terra da devastazioni e violenze. Il castello Aragonese stava venendo sventrato dalla costruzione di 35 alloggi residenziali e dall’abbattimento di muri secolari, in una consapevole cancellazione del passato e dell’identità locale.
Da allora sono state spiantate intere pinete e bitumati lunghi tratti di costa, il consumo di suolo è stato incalcolabile, salvo averne un drammatico esito in occasione di troppe tragedie: dai quattro turisti tedeschi travolti da una frana nel giugno del 1978 sulla spiaggia dei Maronti, alla famiglia Buono, cancellata nell’aprile del 2006 da una colata di fango del monte Vezzi, fino alla terribile scossa del 2017 tra piazza Majo e la località Fango.
Dopo due anni da quel sisma, a Casamicciola la ricostruzione non è ancora cominciata; i fondi statali destinati agli sfollati sono stati sbloccati solo il 3 marzo 2019 dal commissario straordinario Carlo Schilardi e da quel momento, secondo le autorità locali, «il peggio è alle spalle» (Zivelli 2019). L’affermazione è impegnativa, perché in realtà la sfida vera comincia adesso: la ricostruzione è una fase delicatissima, i cui effetti (positivi o negativi) possono mostrarsi molto tempo dopo. Mostrare cautela sarebbe la scelta più saggia, specie perché nessuna analisi approfondita e contestuale (quindi dispendiosa di tempo) è stata fatta della complessità sociale e funzionale dell’area colpita, cioè di una riflessione tra il necessario pragmatismo di un intervento rapido e un’altrettanto necessaria ponderazione su come intervenire, per chi, e a quale scopo. Come hanno osservato i geografi Sara Bonati e Giuseppe Forino in seguito alla sciagura del ponte Morandi di Genova, dopo un disastro è fondamentale discutere la complessità urbana e alimentare uno sguardo d’insieme critico e minuzioso su quella specifica realtà: «Non si tratta infatti solo di ricostruire, ma di farlo in funzione di un contesto dinamico, di una città in continuo cambiamento nella sua struttura sociale ed economica» (Bonati – Forino 2018).

RICOSTRUIRE I LUOGHI E LA COMUNITA’
Un possibile strumento da utilizzare è l’amministrazione condivisa, che in Italia è un fenomeno ancora relativamente piccolo, ma in crescita. Il principio è che accanto alla “ricostruzione materiale”, in cui i cittadini attivi contribuiscono in maniera significativa al miglioramento della qualità della vita di tutti i membri della comunità, si sviluppi anche una “ricostruzione morale”, nel senso che il prendersi cura dei beni di tutti enfatizza il senso di responsabilità e di appartenenza, la solidarietà e la capacità di iniziativa. La speranza è che emerga un dinamismo nuovo per il quale il termine “sicurezza” assuma un significato simile a quello di “bene comune” (Gugg 2016). In questo senso, gli interventi da effettuare sull’isola d’Ischia e, in particolare, nelle zone terremotate, devono essere ispirati a considerazioni sull’abitare e sulle relazioni uomo/ambiente, certamente perpetrando una visione del territorio incentrata sul mare e sul turismo costiero, ma in modalità più eque e sostenibili di quelle sperimentate nell’ultimo secolo. È necessaria, cioè, una pianificazione territoriale rigorosa, intercomunale e lungimirante, l’unica che può ambire a rinnovare e a perpetuare il buon vivere ischitano, come mostra il recente riconoscimento attribuito dai giudici del Vinitaly 2019 alla famiglia Mazzella della località Campagnano per la loro “miglior cantina d’Italia” (Di Gennaro 2019).
La domanda da porsi in maniera costante non può che essere la seguente: quale e per quale Casamicciola si sta ricostruendo? Qualsiasi futuro si voglia perseguire, si tratta di individuare un percorso scandito da forti elementi di concretezza: l’esempio dei viticoltori Mazzella mostra che non basta avere delle uve straordinarie, perché bisogna rendere produttivo quel sistema, ossia anche remunerativo e dignitoso, altrimenti l’abbandono proseguirà e, con esso, l’erosione dei suoli e della comunità. Ciò può avvenire con un nuovo patto collettivo, in cui l’attenzione non è posta solo sul singolo manufatto o prodotto, ma sul quadro di insieme, che non è ristretto alla “zona rossa” o al comune sinistrato, ma coincide con l’intera isola; lo sguardo da tenere deve essere contemporaneamente vasto e profondo, trasversale e complesso, e soprattutto deve scrutare il domani con la consapevolezza del percorso storico che ha condotto allo stato attuale, con le sue fragilità e contraddizioni. Bisogna ricostruire una visione dell’isola che non c’è ancora, ma che comunque arriverà, se si procederà con pazienza e capacità di ascolto.

BIBLIOGRAFIA
Berrino A., 2011: “Storia del turismo in Italia”, il Mulino, Bologna.
Bonati S. – Forino G., 2018: “La ricostruzione del ponte Morandi è la ricostruzione dell’Italia”, in “Gli Stati Generali”, 11 ottobre: https://www.glistatigenerali.com/…/la-ricostruzione-del-po…/
D’Ascia G., 1867: “Storia dell’isola d’Ischia”, Gabriele Argenio, Napoli.
Di Gennaro A., 2019: “Ischia, dal paesaggio al vino e ritorno”, in “Napoli Monitor”, 7 maggio: http://napolimonitor.it/ischia-dal-paesaggio-al-vino-ritor…/
Dorfman A., 2010: “Solidarity can help Chile prevail”, in CNN, 2 marzo: http://edition.cnn.com/…/dorfman.chile.earthquak…/index.html
Gugg G., 2016: “Dopo il terremoto, ricostruire le comunità , non soltanto le case”, in LABSUS – Laboratorio per la sussidiarietà, 20 settembre: https://www.labsus.org/…/dopo-il-terremoto-ricostruire-le-…/
Maglio A., 2017: “L’altra faccia del golfo. Ischia e l’architettura mediterranea”, in A. Maglio, F. Mangone, A. Pizza (a cura di), “Immaginare il Mediterraneo. Architettura, arti, fotografia”, Art Studio Paparo, Napoli.
Mercalli G., 1884: “L’isola d’Ischia ed il terremoto del 28 luglio 1883”, in “Memorie del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere”, III, vol. 6, Milano.
Vuoso U., 2019: “L’isola nata in mezzo al mare. Mitopoiesi, disastri e microcosmi”, in G. Gugg, E. Dall’Ò, D. Borriello (a cura di), “Disasters in popular cultures”, numero monografico della collana “Geographies of the Anthropocene”, Il Sileno Edizioni, Rende (Cosenza).
WWF, 2018: “Con la sanatoria a Ischia si rischia emergenza permanente”, 18 ottobre: https://www.wwf.it/news/notizie/?uNewsID=43060
Zivelli M., 2019: “Ischia, il commissario Schilardi sblocca i fondi statali agli sfollati del terremoto”, in “Il Mattino”, 3 marzo.

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Quest’articolo è presente anche sul numero 3 de “Il Continente” disponibile in pdf, qui:
http://www.ischiablog.it/index.php/ischiablog/speciali/il-mare-di-legno-disponibile-il-terzo-numero-de-il-continente/


1 Commento, Commenta o fai un Ping

  1. norman - Data: 29/8/2019 17:45:35 - IP: 79.43.148.xxx

    L’articolo e’ ottimo nell’analisi ma rimane astratto nelle proposizioni.
    Infatti il nocciolo della situazione è prettamente politico.
    Se si studia criticamente il post terremoto a Casamicciola o il recente PUC proposto per il comune di Forio secondo me non si può evitare la conclusione che la politica locale risponda solo ad interessi arcaici e inadeguati alla complessità attuale dell’isola. In altre parole il ceto dirigente locale – che è più coeso e solidale di quello che appare alla superficie, nonché molto longevo – che “filtra” fra le varie opzioni possibili scegliendo immancabilmente solo quelle che rispondono ad interessi storicamente superati. Per es., è stato sensato porre come primo e principale problema delle aree terremotate quello del condono edilizio? Oppure, è sensato che nel PUC di Forio lo standard del verde venga ridotto al di sotto dei parametri nazionali ordinari? Oppure che dopo abbattimenti sciagure e terremoti continui a vista l’edificazione e il consumo di suolo?
    Da dove viene questo senso di arcaica continuità e di reiterazione se non da una copertura politica che si dovrebbe rimuovere prima di tutto culturalmente, se si vuole dare respiro e slancio economico ad un territorio così ricco di possibilità?

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