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“Ischia, l’isola di Mussolini”. Il libro di Benedetto Valentino sul ventennio ischitano

di Emanuele Verde. Tutte le volte che mi immergo nelle carte che riguardano mio nonno Admeto Verde e di cui ho diffusamente scritto su questo blog, mi vien sempre da pensare che il cosidetto “paradigma dell’arretratezza” con cui ancora oggi diversi osservatori interpretano la realtà meridionale presenti in realtà molte lacune.

Innanzitutto, né mio nonno, né i suoi fratelli, rispondevano allo stereotipo del contadino semianalfabeta mandato a combattere una guerra (1915 -1918) che non gli apparteneva. Anzi, tutti e tre combatterono con convinzione e spirito patriottico, e la successiva adesione al fascismo fu soprattutto una risposta al modo in cui lo Stato italiano trattò i reduci (specie i prigionieri) di quel terribile conflitto.

Leggendo la storia dei 4 ischitani arruolatisi a Fiume (1905), con cui comincia il libro di Benedetto Valentino (“Ischia, l’Isola di Mussolini”, Valentino Editore), il mio convincimento si è ancor più rafforzato. Infatti, quelle di Vincenzo Colucci, Luigi Mazzella, Egidio Pinto e Antonio Cortese in alcun modo possono esser considerate adesioni di circostanza.

Quel che mi preme sottolineare è che all’inizio del ‘900 (in realtà anche prima) l’eco della “scossa eversiva” culminata nella vicenda unitaria arrivò anche a Ischia. Una scossa di cui il fascismo fu solo l’ultima delle facce: socialismo, nazionalismo, futurismo, anarchismo arrivarono sull’isola, come dimostra la vicenda umana e politica dell’avvocato Domenico D’Ambra riportata nel libro e di cui in passato pure mi è capitato di scrivere.

Un territorio attraversato da tale fermento culturale non può esser considerato povero. E, infatti, l’altro stereotipo di cui Benedetto Valentino si sbarazza è quello appunto di un’isola che per tutto il ventennio avrebbe sofferto i morsi della fame. Certo la povertà c’era, come pure la dispersione scolastica, ma Ischia a quel tempo mostrava una vitalità culturale e politica che, per dire, non sempre ha dimostrato in seguito.

Come è spiegato bene nel libro le difficoltà serie, la carestia vera e propria, cominciarono dopo l’armistizio del 1943, poiché gli alleati ritennero erroneamente che l’isola potesse vivere senza rifornimenti, facendo esclusivo affidamento alla produzione agricola. Come si uscì da quell’impasse Valentino lo spiega diffusamente e non sta a me svelarlo in questa sede. Quel che posso dire – ed è il terzo aspetto che mi ha affascinato di questo saggio storico – è che sull’isola d’Ischia la transizione dal fascismo alla repubblica avvenne all’insegna della massima continuità istituzionale.

È un tema, questo, che nel centro e nel nord Italia provocò violente reazioni, soprattutto da parte della base comunista che, in opposizione alla  stessa linea togliattiana, auspicava un “repulisti” della burocrazia del regime. Al sud, invece, con l’eccezione della Sicilia (e in parte della Calabria) dove c’era un forte movimento contadino, le cose andarono diversamente.

La circostanza, per quanto possa far male a guardarla da una prospettiva ideologica, non può tuttavia essere interpretata con la sola categoria del trasformismo delle classi dirigenti. Certo, il trasformismo è sempre stato una caratteristica della politica italiana ma, ad esempio, sarebbe oltremodo ingeneroso liquidare la biografia di Vincenzo Telese, storico sindaco di Ischia con un passato nel regime, con la sola lente dell’opportunismo politico.

Insomma, il libro di Benedetto Valentino merita di esser letto per capire un po’ di più dell’isola d’Ischia. Soprattutto durante il fascismo, ma non solo. Al di là dei singoli episodi storici – raccontati, tra l’altro, con grande rigore documentale – il libro offre infatti altrettanti spunti “caratteriali” che chi mastica la politica locale non avrà fatica a riconoscere come tuttora operanti.  Da leggere!


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