Il caso Dreyfus
Mi dispiace sinceramente di non essere d’accordo sulle valutazioni che sia Padellaro che Travaglio fanno sul “il Fatto Quotidiano” nel merito della condanna di Sallusti, a un anno di galera, per diffamazione aggravata.
Non siamo tutti più intimiditi né meno liberi perché, scrivendo cose false e diffamatorie, come riconosciuto in 3 gradi di giudizio, si paga in termini penali come ogni altro cittadino.
Ciò può soltanto spingere tutti i giornalisti a pubblicare solo notizie verificate seriamente, possibilmente vere, anche se mi rendo conto che ciò per la categoria sia piuttosto pesante.
Nella questione specifica porrei l’accento sul fatto che l’articolo incriminato, pubblicato su Libero nel 2007, non fu scritto dal direttore Sallusti, ma da quel gentiluomo al soldo della CIA di nome Farina, in arte spionistica Betulla, che si nascose dietro lo pseudonimo di Dreyfus.
L’ordine dei giornalisti, invece di invocare tutele e trattamenti di riguardo, dovrebbe impegnarsi a far abolire l’anonimato professionale affinchè nessuno possa sottrarsi alle proprie responsabilità, e, se questa norma fosse stata in vigore quel prezzolato di Farina sarebbe stato processato e condannato al posto di Sallusti, probabilmente con soddisfazione di tutti, anche dei lettori di “Libero”.
Non scordiamoci che la “libertà di stampa” non esiste: i giornalisti nella loro maggioranza sono “liberi” solo di obbedire ai diktat delle varie “linee editoriali” stabilite dalla proprietà e adattano le notizie a queste direttive, praticano con abbondanza l’omissione, praticamente stracciano ogni giorno la deontologia professionale e la propria dignità.
Se la paura della galera li spingerà a dire meno balle, la cosa non mi dispiace, ma sostenere di essere vittima dei magistrati e di Napolitano, come fa Sallusti, è veramente una commedia ridicola che vuole legalizzare la diffamazione a mezzo stampa.
Paolo De Gregorio
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