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Gemellaggio Ischia-Ponza: giovedì 31 marzo proiezione del video “Il viaggio di Mattia”

Appuntamento a Ischia Ponte alle 13.30 presso la sala multimediale dell’associazione archeologica “Navigando verso Aenaria”

di Giuseppe Mazzella. Le isole ponziane o pontine – Ventotene e Ponza – sono isole “napoletane” per storia e cultura. Sono state colonizzate dagli ischitani nel XVIII secolo. Il re Borbone concesse gratis la terra ai coloni ischitani – contadini e pescatori – affinchè venissero abitate. Fino al 1931 hanno fatto parte della Provincia di Napoli poi il fascismo le assegnò alla nuova provincia di Littoria poi diventata Latina. Fino al 1976 c’era un piroscafo della società sovvenzionata dallo Stato, la SPAN, per un collegamento Ponza-Ventotene- Ischia-Procida- Napoli e viceversa poi il collegamento regolare è stato soppresso così sono stati recisi i legami tra le isole flegree (Ischia e Procida) e le ponziane.
Ma tuttora a Ventotene e Ponza si parla napoletano, la cucina è napoletana, i cognomi degli isolani sono ischitani come Mazzella, Di Meglio, Scotti, Taliercio, le tradizioni ed i culti sono napoletani. A Ponza si festeggia S. Silvero il 20 giugno ed a Ventotene S. Candida il 20 settembre con la grande festa a mare come ad Ischia S.Anna, S.Restituta, S. Giovan Giuseppe, San Vito, S. Antonio e San Michele. Ischia è l’“isola Madre” – la più grande, la più popolata, la più antica, dei due golfi – Napoli e Gaeta.
Si può fare una gita a Ventotene e Ponza – d’ estate – con motobarche private e forse con il collegamento estivo degli aliscafi SNAV ogni settimana. Nel 2009 Gianni Vuoso e Giuseppe Mazzella, due giornalisti sessantenni di Ischia, scoprirono la “colonizzazione ischitana” di Ponza nel 1734 perchè il Re Carlo III di Borbone concesse a 52 famiglie ischitane la terra. Il loro reportage di 16 pagine è nel numero di ottobre 2009 del mensile “ La Rassegna d’ Ischia” consultabile anche sul web ed il loro video su “Il viaggio di Mattia” si può trovare sul web. Il 24 e 25 ottobre 2009 i ponzesi ritornarono ad Ischia sulla scia del reportage di Vuoso e Mazzella e realizzarono una commovente mostra e manifestazione nella settecentesca Villa Arbusto di Lacco Ameno e per iniziativa dei ponzesi Silverio, Gennaro e Giuseppe Mazzella (di Ponza) realizzarono un video dell’evento dal titolo “Da Ponza ad Ischia, ritorno alle origini” che si può trovare alla libreria “Il Brigantino” di Ponza condotta da Silverio Mazzella erede di Mattia, il primo colonizzatore di Ponza. Vuoso e Mazzella proposero allora un “Distretto Turistico delle Isole Napoletane” da Capri a Ponza passando per Procida, Ischia e Ventotene.
In fondo Storicamente ed Economicamente è forte il legale con Napoli. Non solo riscoperta storica ma indicazione di un nuovo percorso Culturale, Economico, Commerciale.
Il 31 marzo 2017 si terrà sul Municipio di Ischia – per la tenacia insistenza di un “ponzese di ritorno”, Lorenzo Mazzella – un gemellaggio tra Ischia e Ponza. Alle ore 12 alla presenza del sindaco d’Ischia, Giuseppe Ferrandino e di quello di Ponza, Piero Vigorelli e di altre Autorità Civili, Militari e Religiose.
Alle ore 13.30 nella sala multimediale dell’associazione archeologica “Navigando verso Aenaria” per iniziativa del presidente dell’Associazione, Gaetano Lauro e dell’assessore alla cultura del Comune di Ischia, Carmen Criscuolo, ad Ischia Ponte o Borgo di Celsa ci sarà la proiezione del video “Il viaggio di Mattia” negli spessi luoghi da dove partì nel 1734.
Il primo colonizzatore di Ponza fu infatti il contadino Mattia Mazzella nel 1734 che scese dal villaggio ischitano di Campagnano al Borgo di Celsa per raggiungere Ponza.Quello che il segue è il racconto romanzato del suo viaggio.

***

Mattia Mazzella aveva 40 anni nel 1734 ed aveva 7 figli. Si era sposato con una donna di Barano, Grazia Arcamone almeno 15 anni prima. I quattro figli maschi – a dimostrazione del maschilismo anche della storia locale – hanno un nome: si chiamavano Sabato, Michele, Fabrizio e Bartolomeo. Ma delle tre donne non ne abbiamo il nome. Possiamo solo immaginare come spesso saremo costretti a fare in questo racconto.
Lo storico locale dell’ isola di Ponza, Giuseppe Tricoli, nel suo libro del 1855 ci dice che “ in occasione che la città d’Ischia nel primo anno di regno di Carlo III fu sola nel reame a festeggiare con pompa il compleanno che ricorreva per la genitrice Elisabetta Farnese, richiamò alla memoria il di lei feudo Ponza, onde piazzarvi a duraturo ricordo una colonia di quei abitanti”.
“Per cui – continua lo storico Tricoli nel suo libro – con l’ atto del 30 ottobre 1734 accordava ai coloni il terreno a migliorare, avendo due terzi del valore migliorato e tre anni di franchigia, per poi continuarsi la coltura in “colonia”. Essi si trattennero per la estensione di suolo che circonda il porto, a partire dalla collina la Rotonda alla intera ed estesa vallata di S. Maria, colla catena di colline da Frontone al ciglio di Luciarosa. Ciascun individuo allo arrivo si ricoverava fra quelle tante antiche grotte, o pagliata che si costruiva, ed indicava al Castellano amministratore la porzione di terreno boscoso che intendeva occupare; era così confinata e notata sul registro”.
Lo storico Tricoli – che era un commerciante e non era un ponzese e che fu anche sindaco di Ponza – scrive ancora che fra i primi abitanti di Ponza arrivati dall’ isola d’ Ischia ci fu “l’eremita Giuseppe Scotti di Sant’Angelo che vi morì decrepito, variando di dimora in dimora punti di Ponza, e sono smemorate le di lui celle in luoghi balzasi e di pericoloso accesso”. Poi giunse “Pietro Migliaccio di Campagnano, onde trovarvi sicuro asilo, perché ricercato dalla giustizia per reato di ferita, conducendosi la moglie Antonietta Sirabella coi figli, cioè due femmine ed i maschi Gennaro, Pascale, Giuseppe, e Sabato, occupando la contrada S.Antuono ed il Fieno e tuttora lascia numerosa discendenza”.
L’arrivo di Mattia Mazzella è raccontato da Tricoli con maggior attenzione oltre 120 anni dopo l’approdo. Mattia era “compare” di Pietro Migliaccio. Avrà avuto anch’egli problemi con la giustizia. Ischia era in quel tempo un’isola in cui si uccideva con faciltà Ma forse era un semplice contadino senza terra.
Mattia si situò “nell’intera vallata di S. Maria ove tuttavia compone un casale abitato esclusivamente da 400 Mazzelli suoi discendenti” scrive Tricoli nel 1855.
Tricoli scrive ancora che in seguito si riunivano in Ponza dalle seguenti contrade le altre famiglie cioè da “Ischia” Giuseppe Tagliamone, Alessandro Conte, Antonio Garofano, Francesco Piccerillo, Paolo Colonna, Ignazio Onorato, Pascale Conte, Filippo della Camera, Cristofaro Castaldo, Onofrio Catalano, Giuseppe Conte, Vincenzo Martino, Francesco Bernascone, Tommaso Pallardo, Angiolo Candia, Pietro d’Atri, Andrea e Filippo d’Arco, Giovanni Russo, Cristofaro Guarino, Francesco de Bernardo, Domenico Petroso, Francesco Picino, Vitantonio Mattera, Gennaro de Sio, Leonardo de Luca, Andrea Colonnam Francesco Sasso,Cristofaro de Paola, Antonio Sabatino, Antonio Petrollese, Nunzio Galano, Giovanni Califano, Giuseppe Cimino, Antonio Amalfitano”. Ma si aggiunsero altre famiglie di Campagnano scrive lo storico ponzese e ne segna i nomi: Gennaro Albano con moglie e quattro figli, Giuseppe e Giovanni Guranieri, Giuseppe Conte con moglie Rosa Cuomo e figlia, Domenico Coppa, moglie Barbera Grimaldi e tre figli, Aniello Tagliamone, moglie Apollonia del Vecchio e tre figli, Crescenzo Cuomo con moglie Rosa Cavone e due 3 figli, VitoNicola Mattera e Gennaro Curcio col garzone Agostino Candia”.
Ancora coloni da “Barano” e cioè: Giovan Battista de Meglio, Pietro Tagliamone, con moglie Viola Migliaccio e due figli, Gennaro de Meglio. Moglie Lucia Esposito e figlio, Antonio Conte, moglie Orsola de Meglio e due figli ed iolo Buono”. Altri coloni da “Serraro” ma deve intendersi Serrara-Fontana cioè “Cristofaro Scotti, moglie Angiola Jacono e tre figli Paolo, Pompeo e l’altra femine”.
Mattia doveva essere il “capopolo”. Era un contadino. Era analfabeta. La scuola allora era cosa per ricchi. Ad Ischia non aveva possedimenti e viveva solo del suo lavoro a giornate presso un padrone locale. Forse avrà anche avuto qualche problema con la giustizia. Il filosofo inglese, George Berkeley, che visitò Ischia nel 1717 restando circa 3 mesi nella lettera a Lord Percival del 1 settembre 1717 dice che “gli ischioti hanno preso la brutta abitudine di uccidersi reciprocamente per un nonnulla” e che “l’anno scorso ( 1716) furono composte dal Governatore trentasei cause per assassinio: la vita umana fu valutata dieci ducati”. Anche nella lettera ad Alexander Pope – che fece innamorare i tedeschi di Ischia per la magnifica descrizione delle bellezze naturali – del 22 ottobre 1717 scritta da Napoli Kerkeley sottolinea che “gli abitanti di quest’isola deliziosa sono senza ricchezze e onori così come sono senza i vizi e le follie che ne derivano e se come sono del tutto estranei all’avarizia e all’ambizione, non conoscessero la vendetta, potrebbero effettivamente corrispondere alla poetica nozione degli uomini dell’età dell’oro. Tuttavia essi hanno preso, come per attenuare la loro felicità, la cattiva abitudine di uccidersi l’un l’altro per offese di nessun conto”.
Mattia – come tutti i contadini ci informa Berkeley nei suoi “diari” – “portava al fianco un largo coltello da potatore, curvo all’ estremità, col quale frequentemente gli ischioti si feriscono e si uccidono a vicenda”. È quello che i contadini di Ischia portano ancora oggi e che chiamano “’u marrazzo”.
Il censimento del 1747 rilevò che l’isola d’Ischia aveva “16.415 anime e ben 420 preti ai quali vanno aggiunto i molti religiosi” ci dice Don Camillo D’Ambra nella sua storia dei vescovi isolani.
Fu certamente il desiderio di possedere una terra tutta sua che lo fece decidere di andare a costituire una colonia a Ponza. Con la sua paga giornaliera non avrebbe mai potuto acquistare ad Ischia un terreno. Viveva con la famiglia in una grotta scavata nel tufo in località San Pancrazio.
Ma sapeva anche pescare ed aveva amici fra i pescatori del Borgo di Celsa che erano circa mille ed avevano già costruito la loro bella Chiesa dello Spirito Santo e solcavano tutti i mari del Mediterraneo con le loro feluche.
Mattia dovette chiedere ad un suo amico di portarlo a Ponza con tutta la sua famiglia le poche cose che possedeva, i semi, la zappa, “’u marrazzo”.
I marinai del Borgo di Celsa, oggi chiamata Ischia Ponte, già conoscevano Ponza. Frequentavano Ponza e Ventotene per “svolgervi l’attività di pesca fin dal XVI secolo soprattutto nel mese di aprile e poi vendevano il pescato sia ad Ischia sia soprattutto a Napoli .” Patrona particolare dei marinai di Celsa che si recavano a Ponza per la pesca, doveva essere la Madonna della Salvazione in onore della quale tra la fine del sec. XVI e l’inizio del seguente fecero dipingere un quadro con l’immagine della Madonna e ai piedi una veduta panoramica di Ponza con alcune barche che lottano contro i marosi. Questa tavola, che ancora oggi si conserva nella Chiesa dello Spirito Santo, è stata attribuita al pittore foriano Cesare Calise” (Agostino Di Lustro – I marinai di Celsa e la loro chiesa dello Spirito Santo) A Ponza avevano ricavato delle grotte per ripararsi dalle intemperie e si fermavano con le loro feluche soprattutto nella rada antistante quella che sarà chiamata vallata di Santa Maria dove c’erano anche i ruderi di un abbandonato monastero.
Mattia fu consigliato di insediarsi proprio in quella vallata e “conquistare” i i terreni per poi coltivarli.
Quando partirono Mattia ed i suoi compagni? Da dove partirono?
Probabilmente è partito dal Borgo di Celsa, la rada più sicura dell’isola d’Ischia. È partito con la feluca… Il viaggio sarà durato almeno 8 ore.
Dovettero partire d’estate o in primavera cioè nel 1735 – se l’atto del Re Carlo III è del 30 ottobre 1734 – quando il mare è “la mar” di Hemingway. Non possono aver rischiato di partire in inverno anche perché dovevano seminare per raccogliere i frutti del lavoro del terreno. Mattia avrà rassicurato la moglie che l’ avventura ne valeva la pena.
“Il nuovo Re – avrà detto a Grazia per superare le sue reticenze – ha promesso che costruirà un grande porto a Ponza che sarà il più bello del Mediterraneo. Per costruirlo arriveranno muratori, carpentieri, capo masti, oltre ad ingegneri ed uomini d’affari. Costruirà anche una Cittadella. Non saremo soli.”.
I primi anni saranno stati durissimi. Ma Mattia aveva un terreno tutto suo dove coltiva tutto dalle patate al vino ma quello che riusciva meglio era la favetta e la lenticchia. Ampliò la sua “grotta” e proprio davanti cominciò la costruzione della casa. Una tecnica di costruzione che Conrad Haller sottolinea nel suo libro del 1822 e che è comune a tutte le antiche case di Ponza. Qualcosa di simile possiamo vederla ad Ischia in località Ciglio con quelle case scavate nella pietra ed alle quali si sono aggiunte stanze.
Ma qualcosa non andò bene nella famiglia di Mattia. Mattia dovette partire per andare a cercare fortuna altrove o si imbarcò come marinaio su un battello da pesca d’altura.
Non fece più ritorno a Ponza.
Silverio Mazzella, il libraio di Ponza discendente diretto di Mattia, ha fatto ricerche nell’archivio della Chiesa di San Silverio ma non ha trovato l’annotazione della sua morte.
Probabilmente sarà morto in una giornata di tempesta affondato con il battello nel Mar di Sardegna o nel canale di Sicilia. Molto lontano da Ponza dove però la sua progenie è rimasta, ha fatto progressi e soprattutto non l’ha mai dimenticato.
Adesso lo ricorda anche l’isola d’Ischia, da dove è partito.

 


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