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Eccessi e limiti del riformismo

di Giuseppe Mazzella. Mi è rimasta impressa indelebile nella memoria quella battuta felice dell’ ammiraglio Natale Proto sul percorso della vita. “Ormai abbiamo più scia di poppa che acqua di prua nella nostra navigazione” mi disse. Per dirmi con una metafora che ad una certa età possiamo vedere la nostra “scia di poppa”. Riflettere sui nostri eccessi ed i nostri limiti. Ripensare a quanto si è saputo cogliere nella vita e quanto invece è stato sprecato. Sul senso dell’“esperienza” le battute sono tantissime. Una, felice, dice che “l’esperienza è un pettine per chi non ha più capelli”. Quando ormai sono caduti tutti i capelli, diavolo, hai trovato il pettine. Dovevi trovarlo prima.
Ma anche non avere esperienza è stato oggetto di battute. L’ex presidente degli Stati Uniti Henry Truman negli anni ‘60 riteneva JF Kennedy troppo giovane per aspirare alla Presidenza degli USA. Kennedy gli rispose che “l’esperienza è come il fanale di coda di una barca che illumina i posti dove siamo stati ma bisogna fare luce sui posti dove andremo”. Kennedy aveva un grande speechwriter come tutti i Presidenti USA.
Trovare una via di mezzo tra “fanale di coda” e “luce di prua”; “scia di poppa” e “acqua di prua”; è molto difficile ma solo nel mezzo sta la Virtù come insegnano i latini. Bisogna provarci.
La mia generazione quella cosiddetta sessantottina voleva cambiare il mondo e la vita. Siamo cresciuti in un tempo di “contestazione” all’organizzazione civile della società allora detta “neocapitalistica”. La “contestazione” fu avviata, promossa, portata avanti fino alle estreme conseguenze, nelle Università italiane. Cominciò con la richiesta di “riforma dell’Università”, la lotta ai “Baroni delle Cattedre”, la richiesta di liberalizzazione dei piani di studio, l’accesso all’Università per tutti i diplomati prescindendo se si aveva la licenza liceale o il diploma di ragioniere, la richiesta di lavoro adeguato dopo la laurea e quindi uno Stato che offriva possibilità ampie a chi faceva anni di sacrificio di studi su corposi libri. Queste “contestazioni” e queste richieste non avevano altra via che il “riformismo” del sistema economico e dell’ordine repubblicano sancito in una Costituzione di 139 articoli che all’art. 1 dichiarava che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’espressione di “compromesso” fu trovata da Amintore Fanfani, uno dei “due cavalli di razza” della Democrazia Cristiana (l’ altro fu Aldo Moro) nella commissione dei 75 che redasse la Costituzione tra la richiesta di comunisti e socialisti che chiedevano “democrazia del lavoro” ed i liberali che chiedevano solo “democrazia”.
A parte il massimalismo del Movimento Studentesco di Mario Capanna che si poneva a sinistra del PCI in un’area extraparlamentare c’era – almeno nella mia facoltà di economia e commercio di Napoli – una larga parte di studenti che si riconosceva in una “alternativa democratica” impostata sulle “riforme di struttura”.
Due le parole d’ordine sulla bocca di tutti: riforme e programmazione economica. Con le riforme e con una politica economica e finanziaria a largo intervento pubblico si poteva costruire una “Repubblica fondata sul lavoro”. Credo che il movimento degli studenti del ‘ 68 ebbe una influenza decisiva su tutto il sistema dei partiti – dalla destra alla sinistra, moderata ed estrema – sulla nuova politica di centro-sinistra avviata dai democristiani Amintore Fanfani e Aldo Moro ed i socialisti Pietro Nenni e Francesco De Martino. Tanto per indicare i nomi più significativi ma la schiera di grandi personalità politiche di allora è molto vasta. Faccio torto a uomini come Ricardo Lombardi, Antonio Giolitti, Giacomo Brodoloni, Giacomo Mancini del PSI e come Ugo La Malfa del PRI, “la coscienza critica della sinistra” ed altri ancora di mia ammirazione per la mia posizione di “riformista” e non “massimalista”. Faccio torto a tutti i dirigenti del PCI, la sinistra di “opposizione”, che voleva portare il più grande partito di massa verso il “riformismo”.
Ma – vista con la “scia di poppa” – abbiamo sostenuto “riforme” che invece di migliorare “la Repubblica fondata sul lavoro” l’hanno peggiorata. Che la parola “riforma” ha perso di significato perché se ne sono appropriati tutti nel paese del Gattopardo dove tutto cambia per rimanere uguale se non peggio e cioè ritornare indietro. Abbiamo reso talmente inutile il termine “programmazione” con la “pianificazione territoriale” che non abbiamo più nomi da dare ai nuovi piani economici ed urbanistici. Nell’isola d’Ischia non abbiamo dopo circa 50 anni dalla “Legge Ponte” del 1967 un decente e praticabile Piano Regolatore Generale e non abbiamo alcuna certezza di diritto di tre condoni edilizi per circa 30mila pratiche di cittadini!!! Dopo 50 anni.
Penso alla “Riforma” della Pubblica Amministrazione. Addirittura un Ministero senza portafoglio costituito nel 1963 sulla “riforma burocratica”. Ed oltre 50 anni di “riforme” con i nomi dei Ministri Cassesse, Giannini, Bassanini, Frattini, Brunetta e l’ ultima Madia, una giovane donna di poco più di trent’anni. La “ riforma” degli enti locali: la legge 142 del 1990 proposta dal Ministro Antonio Gava con l’introduzione della “podestà regolamentaria” con gli Statuti per invogliare la “partecipazione” ed addirittura un testo unico degli enti locali del 2000. La riforma della Provincia ed il suo “svuotamento” con la legge Del Rio del 2014 così una “riforma” cancella brutalmente quanto con una stessa “riforma” era stato antiteticamente appena proposto ed approvato 10 anni prima!
Penso alla “riforma” della scuola. Avviata nel 1962 dopo oltre 80 anni dalla “Legge Gentile” in epoca fascista. I “decreti delegati” del 1974, i mille cambiamenti degli esami di Stato, il dimensionamento scolastico del 1999, la legge Masini del 1996 sull’edilizia scolastica e la spartizione delle competenze tra Comune e Provincia, la “riforma Moratti” n.53/20003, la “riforma Gelmini” legge 133/ 2008, la legge detta “Buona Scuola” n.107/2015 che ”ha modificato per la terza volta in poco più di un decennio l’ordinamento scolastico italiano” (Affari & Finanza di Repubblica 17 ottobre 2016).
Allora credo che per l’“acqua di prua” che ci resta abbiamo il dovere di essere cauti sul riformismo. Mettiamo ordine nell’organizzazione civile dello Stato. Rafforzamento l’Unione Politica Europea perché abbiamo bisogno di un “diritto comune” in una Unione Economica che non può essere solo finanziaria ma deve essere politica.
Cominciamo a difendere il testo costituzionale del 1948. E’ un saldo punto di partenza.
Ripristiniamo una seria “democrazia indiretta” (l’unica possibile) con una seria legge elettorale.
Ricostruiamo il sistema dei partiti “solidi” perché quelli “liquidi” non possono dare “continuità amministrativa” per il caos visto in tema di “riformismo” che ci porta alla distruzione dello Stato senza attuare la “Repubblica fondata sul lavoro”.
Insomma superiamo questo momento così difficile richiamandoci ai Padri Costituenti.
Oggi se proprio debbo trovare per me una definizione mi definisco “Conservatore”.


1 Commento, Commenta o fai un Ping

  1. lucia manna - Data: 23/10/2016 19:29:47 - IP: 95.234.139.xxx

    Si poteva cambiare l’Italia negli anni 70. Nel ’75 Moro diede il là alla “strategia dell’attenzione verso i comunisti” e guarda caso pochi anni dopo lo uccisero (Maggio ’78). La dittatura in Italia si è svelata nel ’78. Oggi arrivano i governi palesemente tecnocratici. Abbiamo assistito a tre presidenti del consiglio nominati da lobby e non eletti dal Popolo Sovrano. La democrazia è morta con Moro.I governi tecnocratici sono quelli meno rispettosi della Costituzione, tanto è vero che fra poco con un referendum si vuole addirittura cambiare parte della Costituzione per dare sempre più potere ai capi di governo non eletti dai cittadini e accentrando nelle mani di pochi tutto il potere. Le riforme se si faranno con queste condizioni falsamente democratiche saranno sempre a vantaggio di pochi che detengono e supportano il grande potere delle lobby. E delle banche. Sfacciatamente e palesemente il ministro Boschi con il Renzi compiacente salva Banche e in esse include anche banca Etruria. Istituto bancario del padre del ministro in funzione. Una democrazia indiretta con rispettiva legge elettorale come sostiene Giuseppe Mazzella chi la dovrebbe fare? I partiti tecnocratici non eletti dal popolo? Il capitalismo non funziona con una democrazia, e il sistema apparso all’inizio con un massimo di benessere sta ingoiando la terra e con essa l’uomo. La crisi economica, che è globale, è doppia: economica e ambientale. Più si deturpa l’ambiente più aumenta la crisi economica. E le grandi multinazionali si devono accaparrare ciò che resterebbe. Le risorse del Pianeta stanno per finire e bisogna decimare la popolazione per cui più dittatura con massimo accentramento nelle mani dei poteri tecnocratici consentirà a pochi ricchi di governare. E il tanto declamato articolo 1 della Costituzione italiana in cui si dichiara che la repubblica è fondata sul lavoro verrà sostituito tra qui a poco con un articolo superbo in cui si potrà leggere:”La repubblica italiana è fondata sullo schiavismo”. A meno che non faremo una grande rivoluzione. Gandiana?

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