A casa di Mimì

di Emanuele Verde. Qualche giorno prima del suo ottantesimo compleanno Domenico Savio mi ha invitato a casa sua. All’inizio la circostanza mi ha un po’ meravigliato, non avendo mai avuto grandi rapporti con Mimì se non, com’è ovvio, il rispetto che si deve a una persona all’anagrafe più grande, ma una volta varcato l’ingresso della casa-biblioteca a prevalere è stata decisamente la curiosità.
Sono tre le cose che mi hanno colpito. La prima, che poi è il motivo dell’incontro, è il dono dei primi due volumi di scritti scelti, molti dei quali inediti relativi al periodo 2000-2019. In particolare, a destare la mia curiosità è stata la nota iniziale con cui Mimì si scusa coi lettori per non aver corretto le bozze dei suoi libri. Una precisazione di certo non dovuta ma che mi ha dato immediatamente conferma dell’onestà intellettuale e politica dell’uomo.
Un’onestà diversa da quella oggi di moda, in cui l’ambizione a stare da una “parte” soltanto, quella dei lavoratori, passa innanzitutto dall’esplicitazione dei propri limiti. Un modo di porsi inconsueto in un momento storico in cui, al contrario, sembra stia pericolosamente tornando la tendenza a credere nelle virtù taumaturgiche di capi e sottocapi, infallibili fintantoché non subentra l’oblio mediatico.
Al contrario, e veniamo al secondo aspetto, Savio suggerisce che per durare politicamente è indispensabile avere dei testi di riferimento. Scontati quelli “sacri” di Marx, Engels e Lenin a incuriosirmi di più della sua biblioteca è stato un poderoso volume con gli scritti di Jean Jacques Rousseau.
Comprensibilmente, il riferimento rimanda alla piattaforma informatica a supporto dei processi decisionali interni al Movimento Cinque Stelle ma è bene chiarire che c’è molto altro dietro. Al riguardo, conviene affidarsi allo storico Eric Hobsbawn secondo cui l’egualitarismo di stampo rousseauniano fu una delle componenti originarie del socialismo e del comunismo nei primi anni Quaranta dell’Ottocento. Del resto, la matrice comune è proseguita ben oltre il XIX secolo. Per rendersene conto, basta dare un’occhiata alla Costituzione sovietica del 1918 in cui è presente il vincolo di mandato per i deputati con annessa possibilità di revoca “in qualunque momento”.
Capisco che nel leggere queste cose a qualche “grillino” possa correre un brivido lungo la schiena ma, venendo all’attualità – anche se immagino Domenico Savio non sia molto d’accordo -, da un punto di vista storico-culturale il dialogo tra sinistra e M5S forse non è così campato in aria (il che non significa nascondere i limiti evidenti dell’azione di governo).
Terzo e ultimo aspetto è proprio la storia. Nella biblioteca di Savio campeggia una stampa di Franco Molfese, storico di orientamento marxista-leninista e autore di un famoso saggio sul brigantaggio dopo l’Unità d’Italia. La tesi è che quella dei briganti fu “lotta di classe” e che se l’esito fu diverso da quanto avvenuto in Russia mezzo secolo dopo, ciò fu dovuto alla mancanza di una guida capace di incanalare su una prospettiva rivoluzionaria la rivolta di contadini e diseredati.
Non avendo ancora letto Molfese, né le tesi contrarie di Rosario Romeo, mi guardo bene dall’esprimere un giudizio sull’argomento, se non per un dettaglio su cui ha convenuto anche Mimì, e cioè lo sgomento nel vedere l’opera di Molfese (in cui riecheggia la lezione di Gramsci) strumento ideologico delle tesi sudiste tanto di moda oggi e che anche a Ischia trovano eco e proseliti.
Chiudo con una nota locale. Domenico Savio rivendica con orgoglio la provenienza contadina e l’appartenza al popoloso quartiere di Monterone. Non è folclore. È la consapevolezza della storia di Forio, passata dall’avere un’estesa classe bracciantile (in molta parte, appunto, concentrata a Monterone) a un’altrettanto estesa classe di lavoratori e lavoratrici del turismo. Da qui il decennale impegno di Mimì per il suo quartiere e la lezione, non meno importante, che l’emancipazione sociale passa per l’impegno e la cultura.
Sperando che i foriani se ne ricordino.
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