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I mutamenti climatici e il rischio idrogeologico sull’isola d’Ischia

di Bartolomeo Garofalo. La geologia delle aree vulcaniche e dell’isola d’Ischia in generale è grosso modo ovunque caratterizzata dalla presenza di coltri piroclastiche che poggiano su un basamento più compatto. In altre parole, è come se dappertutto uno strato di sabbia più o meno spesso poggiasse su una lastra di marmo. La sabbia verrà giù per due ragioni: se incliniamo la lastra oppure se aggiungiamo acqua, che appesantisce la sabbia e agisce come un lubrificante tra il basamento e la sabbia stessa.

Le precipitazioni stanno mutando, i periodi piovosi oramai durano anche diverse settimane consecutive. Le aree tropicali sembrano estendersi sempre più verso latitudini più settentrionali almeno nel nostro emisfero. A Ischia la conseguenza diretta del mutamento climatico è che il rischio di frane e smottamenti che prima era circoscritto alle zone in cui i versanti erano più inclinati, e quindi nel settore settentrionale, si estende alla quasi totalità del territorio isolano, fatta eccezione, ovviamente, per le aree pianeggianti dove pure avvengono crolli di muri di sostegno e antichi muretti a secco. Ed ecco che dopo settimane di pioggia pressoché continua si deve procedere alla conta dei danni tra cui, ahimè, anche una vittima.

La trasformazione delle precipitazioni, non più limitate a ottobre e marzo come 20 anni fa, condurrà sempre più spesso all’innesco di fenomeni franosi e/o di alluvioni. Il lavoro pubblicato dall’Autorità di Bacino Nord-Occidentale, liberamente consultabile in rete, può essere un punto di partenza per la corretta pianificazione del territorio e per la predisposizione di un piano d’emergenza. Il risultato più importante di quel lavoro è stata la produzione di un gran numero di carte tematiche basate sulla valutazione dei rischi e delle pericolosità per quanto riguarda alluvioni e frane. L’integrazione di tali informazioni con un assiduo monitoraggio del territorio da parte di tecnici specializzati consentirebbe di identificare situazioni potenzialmente a rischio.

Purtroppo in Italia la prevenzione è sostanzialmente assente, preferendo intervenire in emergenza quando il danno è stato già fatto. Le soluzioni che si adottano successivamente agli eventi naturali molto spesso non sono che inutili palliativi. Il territorio evolve e non è possibile interrompere tale evoluzione a meno che non siano disponibili risorse pressoché illimitate. La soluzione più semplice, immediatamente attuabile e a basso costo è quella di ridurre la pericolosità, ossia ridurre il numero di insediamenti produttivi e abitazioni nelle aree a rischio. Un fabbricato posto al di sotto di un versante sub-verticale e alto una dozzina di metri, costituisce un enorme rischio per coloro che ci abitano o ci lavorano.

Pur senza tralasciare le responsabilità di una classe politica che molto spesso ha dato prova di non sapere gestire il rischio idrogeologico, è necessario che sia la coscienza di ognuno di noi a mutare. È inutile accusare questo o quel politico, quella legge, il condono e l’abusivismo per i danni al territorio quando molto spesso un comportamento apparentemente innocuo come quello di abbattere gli alberi dei boschi isolani può innescare una serie di meccanismi che a cascata si rivelano completamente disastrosi. È necessario che tutti noi prendiamo coscienza che il territorio va usato e non abusato.


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