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L’anti ischitano

Si può amare il proprio paese fottendosene della Festa di Sant’Anna? Certo che sì!

di Emanuele Verde. Quando si parla di tradizioni popolari il discorso, quasi sempre, finisce nelle “sabbie mobili” dell’identità e delle radici. Dall’osservanza della festa, dall’aderenza acritica al rito, viene misurato l’amore per il proprio paese, con tanto di tribunale speciale in nome dei VALORI. Il rischio di andare a sbattere “sugli scogli”, – magari proprio quelli della Festa -, è enorme, ma evidentemente tenuto in nessuna considerazione da chi si lancia in temerarie campagne d’opinione.

Non si tratta di essere contro o a favore, ma di valutare l’opportunità della ricorrenza esclusivamente sotto il profilo economico, del ritorno turistico per la comunità e le strutture ricettive che non lesinano promozioni e offerte in scia all’evento. In altre parole, si tratta di valutarne l’attualità, non l’identità. Chiaro che se ci muoviamo su questo binario, non fare la Festa di Sant’Anna è economicamente rischioso, se pretendiamo invece fare di questa, come di altre celebrazioni, un totem da cui misurare l’amore per il proprio paese non ci siamo proprio. Non ci siamo perchè dovremmo avere il coraggio di raccontarla tutta la storia: di dire che è vero che la competizione tra le barche è sopraggiunta in un secondo momento, ma che un ruolo l’ha giocato anche l’Opera Nazionale Dopolavoro e la folle idea di plasmare la “fascistissima” identità nazionale. Già di suo la ricorrenza è un caso di sincretismo cristiano-pagano, della capacità cioè della Chiesa cattolica di ri-significare antichi riti pagani in maniera coerente con il proprio sistema di credenze. Su quest’opera, riuscita, di risignificazione si è innestato poi il tentativo del fascismo di rendere queste tradizioni a loro volta coerenti con l’”uomo nuovo” del regime. “Chest è”, sarebbe il caso di dire, ed è stupefacente come questa lettura trovi ancora pochissimo spazio nella pubblicistica locale.

Del resto, appena un mese dopo la Festa di Sant’Anna, per le strade del corso di Ischia va in scena la sfilata di Sant’Alessandro. Lì, sempre a proposito di identità, vengono rievocati personaggi storici assai controversi come Mons. Baldassare Cossa, anche conosciuto come l’Antipapa Giovanni XXIII, e Alfonso d’Aragona, detto “il Magnanimo”. Al primo, – tra i protagonisti del Grande Scisma d’Occidente e nominato Papa dal Concilio di Pisa, allargando ulteriormente il fronte scismatico -, abbiamo addirittura intitolato una strada. Dico addirittura perchè Mons. Cossa fu accusato, tra le altre cose, di simonia e omicidio. Non proprio uno “stinco di santo” e, aggiugo, ci sarebbe da riflettere sulla circostanza che dei due Giovanni XXIII nella storia della Chiesa, a noi ischitani sia toccato in sorte non il “Papa Buono” Roncalli, ma l’altro, quello decisamente più controverso. Come dovremmo interpretare questa cosa, come un segno del destino? Di Alfonso il Magnanimo, basta leggere quello che ne ha scritto lo storico locale Giuseppe D’Ascia, autore della monumentale Storia dell’isola d’Ischia:

“Ritornava Alfonso furente per la rabbia e per la sete di vendetta nel 1441 per impadronirsi di Napoli. Come avea praticato otto anni prima si accostò ad Ischia; ma quella novella guarnigione gli oppose vigorosa resistenza, e gliene contrastò a tutta oltranza il possesso. Preso da cieco furore per l’inatteso contrasto, e volendo assicurarsene il possedimento, stimò utile al suo politico divisamento, ed opportuno alla sua giustizia, cacciar dall’isola e dalla cittadella quel presidio, che parteggiando per Renato (Renato D’Angiò) glie ne avea resa difficoltosa l’occupazione. In sostituzione degli espulsi vi stanziò una nuova colonia di trecento fidi Spagnuoli e Catalani, a quali diede in consegua la fortezza. Fino a questo punto lo avrebbe guidato la prudenza, e la ragion di Stato: ma vi era la parte di vendetta da compiere, per cui decise che, soli ed inermi fussero partiti quei militi, lasciando le loro famiglie, le cui donne astrinse a passare fra le braccia de’ suoi fidi seguaci, accozzaglia di tristi. Ecco come esordiva questo nuovo straniero, che veniva ad usurpare una monarchia, rapendo dalle braccia di un padre una figlia, strappando dai legittimi amplessi di un marito una consorte, che la natura gli avea concessa, la religione santificata; e questa suprema legge di sangue, questo celeste precetto d’indissolubile nodo, con rabbia feroce, si calpesta da Alfonso col calcio della sua azza, colla punta della sua spada!”

Converrete che non è proprio il ritratto di un sovrano tutto dedito alle arti e alle buone letture, eppure ogni anno il 26 agosto celebriamo il “nostro” Alfonso il Magnanimo! Azz! Naturalmente liberissimi di celebrarlo, liberissimo io di osservare che “TRADIZIONE E’ VIOLENZA” non è solo un riuscito slogan sessantottino.

Insomma, sulle contraddizioni, le scemenze, di chi si muove nel segno dell’identità, delle radici, dei valori superiori della comunità potrei andare avanti ancora a lungo, il materiale non manca di certo. Uno dei principali interpreti di questa deriva identitaria, approdo dei fascisti di ogni tempo e di ogni età dopo la fine delle grandi ideologie è il neo assessore Luciano Castaldi. Forio ha bisogno di persone della sua rettitudine e perciò gli auguro sinceramente buon lavoro, innanzitutto per il Paese e poi anche per le sue legittime aspirazioni. Gli chiedo solo di tenere a bada i tic da novello Torquemada, perchè su quelli avrà filo da torcere! ;)

Chiudo con una gag del “maestro Corrado Guzzanti. Maestro, per me, sia chiaro. Del resto, nel “relativismo etico“, io ci sto da dio!



1 Commento, Commenta o fai un Ping

  1. antonio - Data: 9/7/2013 16:02:35 - IP: 93.65.211.xxx

    bravo, sei un grande

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