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“La prigione oscura”, horror tutto ischitano

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Il giovane regista Salvatore Di Costanzo

Alessandro e Beatrice sono una giovanissima coppia che si trasferisce in una nuova casa nei pressi di Ischia. Già dalla prima notte Beatrice comincia ad avere dei tremendi incubi in cui vede cadaveri e fiumi di sangue. La situazione della ragazza peggiora giorno dopo giorno e anche la stabilità mentale di Alessandro comincia a vacillare. Il tutto sembrerebbe legato alla casa e all’oscuro passato del suo precedente inquilino…

Differentemente da tanti suoi colleghi che preferiscono cimentarsi con cortometraggi, il giovanissimo Salvatore R. Di Costanzo esordisce nel campo dell’audiovisivo direttamente con un lungometraggio, “La prigione oscura”.
Di Costanzo si ispira chiaramente ai grandi classici quali “Amityville Horror” e “Shining”, e così facendo costruisce un thriller dai connotati soprannaturali che gioca in ugual misura con l’atmosfera e con il gore e la violenza più bruta.
Partiamo subito con il dire che il film sprizza buona volontà da ogni singola inquadratura, così come è evidentissimo il grande impegno che una tale operazione ha richiesto, però durante la visone è altrettanto evidente che si tratta di un’opera prima realizzata da un artista ancora un po’ La Prigione Oscuraacerbo, che dimostra comunque di aver senza dubbio intrapreso la strada giusta. Infatti ciò che maggiormente colpisce in “La prigione oscura” è la sicurezza e la grandissima cura della regia, sempre attenta alle giuste inquadrature, spesso capaci di rendere inquietante anche l’ambiente più familiare. Alla stessa maniera si può notare un’ottima cura per le scenografie e per la fotografia, sulle quali si è evidentemente lavorato molto per renderle sempre in sintonia con lo straniamento psicologico che subiscono i personaggi del film. Gli interni della villa in cui si ambienta il buon 90% del film riflettono spesso la confusione mentale dei due protagonisti, così come la bella fotografia che alterna colori caldi e pastosi (il rosso e l’arancio soprattutto) con tonalità buie e fredde.
Ciò in cui “La prigione oscura” convince poco è invece la sceneggiatura, curata dallo stesso regista, che sembra procedere a singhiozzo, come se non ci fosse una vera idea di fondo in grado di La Prigione Oscuraportare la storia a una reale svolta. Il film procede infatti per accumulo di piccoli particolari che spesso vengono del tutto abbandonati, come se i vari indizi disseminati durante l’indagine della protagonista non fossero realmente importanti per la risoluzione della vicenda. Anche i dialoghi spesso non convincono e a volte appaiono quasi improvvisati. Tutto ciò dà un senso di frammentarietà all’opera e ne appesantisce la visione, sensazione accentuata dall’eccessiva durata del lungometraggio (108 minuti circa). Infatti il film avrebbe sicuramente avuto un impatto maggiore con qualche taglio ulteriore, magari riducendo la durata ai canonici 90 minuti, accorciando soprattutto le lunghe scene oniriche e le colluttazioni (soprattutto verbali) tra i due protagonisti.
La modella ed esordiente attrice italo-francese Elodie Serra presta il volto alla protagonista e dimostra di cavarsela più che discretamente in un ruolo che prevede una partecipazione fisica ed emotiva considerevole. Il resto del cast soffre un po’ dell’improvvisazione attoriale a cui sono quasi sempre legate le produzioni low budget italiane, a cominciare da Salvatore R. Di Costanzo che ricopre anche il ruolo di coprotagonista nei panni di Alessandro, che ci dona un personaggio a tratti troppo caricaturale, soprattutto nella La Prigione Oscuracaratterizzazione della discesa nella follia, caratterizzata da inspiegabili eccessi d’ira, sguardo bieco e voce cavernosa.
Molto buona e ben utilizzata la colonna sonora, che alterna musiche originali a brani del gruppo death metal “Clinicamente morti”.
In conclusione, “La prigione oscura” è sicuramente un “esperimento” interessante che però ha risentito notevolmente dell’inesperienza della produzione; il giovane regista ha comunque dimostrato di cavarsela molto bene dietro la macchina da presa e di avere un indubbio talento. Aspettiamo dunque un nuovo lavoro per un giudizio definitivo, consigliando magari di adottare il linguaggio del cortometraggio, sicuramente meno dispendioso e più incline alla sperimentazione.

fonte: horrormovie.it


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