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Ascom News | A cura di Marco Laraspata

Chi è responsabile dei vizi della merce, il vettore o il venditore?

Ho comprato un compressore su internet ma l’ho ricevuto rotto. Non l’ho ritirato con riserva. Ho diritto alla sostituzione?

Per rispondere compiutamente al quesito si deve innanzitutto far chiarezza sulla natura, o meglio sulla causa, dei danni che il lettore ha riscontrato nel bene acquistato. Tale precisazione è fondamentale e sposta la responsabilità in capo al vettore o al venditore a seconda della sua valutazione. Spieghiamoci meglio: se il danno alla ruota del compressore è stato causato da un difetto di fabbricazione del bene acquistato, dovrà rispondere del danno il venditore e sarà tenuto a sostituirglielo o ripararlo in garanzia; se, invece, il danno è stato causato dal vettore durante il trasporto, solo quest’ultimo potrà ritenersi responsabile. La legge prevede, infatti, che il venditore nella vendita a distanza (cosiddetta vendita da piazza a piazza) dal momento in cui consegna integra la merce al vettore si libera nei confronti dell’acquirente dell’obbligazione di consegna della cosa venduta, pur permanendo a suo carico la garanzia per i vizi della stessa, non imputabili al trasporto, che gli vengano denunziati nei termini prescritti. Il vettore invece, è responsabile per i danni arrecati alle cose da trasportare, dal momento in cui le riceve al momento della consegna, a meno che non provi che la perdita o i danni è derivata da caso fortuito, dalla natura o dai vizi della cosa, dal loro imballaggio, o da responsabilità del mittente o del destinatario [1]. Va precisato, tuttavia, che nel contratto di trasporto di cose, il ricevimento senza riserve delle cose trasportate, impedisce al destinatario di denunciare al vettore i danni delle cose trasportate (tranne nel caso di dolo o colpa grave del vettore). Comunque, il destinatario potrà denunciare successivamente i danni e le perdite non riconoscibili al momento della consegna. Queste dovranno comunque essere denunciate entro otto giorni dal ricevimento. Ecco spiegato il senso dell’invito del venditore a “ritirare con riserva”, che in ogni caso risulterebbe utile per agire nei confronti del vettore, ma non ha nessuna influenza in ordine alla garanzia del venditore. Il fatto che il venditore abbia avvertito il cliente di “ritirare con riserva”, infatti, non lo esime dalla responsabilità propria del venditore, il quale deve sempre garantire che il bene venduto sia esente da vizi, ma riguarda solo il rapporto tra il destinatario della spedizione ed il vettore. Come abbiamo visto, la legge prevede che il destinatario che non ritiri la merce “con riserva” non può più richiedere i danni al vettore. Inoltre, non può comunque richiedere i danni al vettore se non ha denunciato allo stesso i danni entro il termine di otto giorni dalla consegna. Nel caso del lettore:

1. a) ha ritirato la merce “senza riserva”, quindi non può chiedere i danni al vettore;
2. b) sono trascorsi più di otto giorni dalla consegna senza che egli abbia denunciato i danni al vettore, e, quindi, avrebbe in ogni caso perso il diritto ad agire nei confronti del vettore anche qualora avesse ritirato la merce “con riserva”.

Tuttavia, nonostante i suoi diritti nei confronti del vettore siano estinti, sarebbe sempre in tempo per chiedere il risarcimento dei danni al venditore, avendo tempestivamente denunciato  il danno a quest’ultimo nei termini. In questo caso, però, dovrebbe imputarsi il danno ad un difetto di costruzione o produzione del prodotto.

In sintesi: le azioni nei confronti del vettore sono estinte [2] ma ciò non significa che il lettore non possa richiedere il risarcimento dei danni al venditore. L’eventuale domanda di risarcimento dei danni al venditore, tuttavia, potrà trovare accoglimento solo nel caso in cui verrà dimostrato che il danno sia riconducibile ad un vizio di fabbricazione o di produzione del bene. L’esito del giudizio sarebbe per lui negativo, invece, qualora il venditore riuscisse a dimostrare di aver consegnato al vettore la merce integra ed in perfetto stato, atteso che in questo caso i danni si presumono verificatisi durante la fase di trasporto.

In pratica: oltre a quanto sopra evidenziato, si dovrà fare anche un’ulteriore valutazione in ordine alla convenienza di un’eventuale azione legale nei confronti del venditore e quanto gli costerebbe (tra spese legali, eventuale consulenza tecnica di ufficio per accertare l’integrità del bene) anche in considerazione del valore del bene acquistato.

Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Salvatore Cerino

[1] Art. 1693 cod. civ.

[2] Art. 1698 cod. civ.

La prescrizione dei debiti

Quando scadono i debiti: tutti i termini di prescrizione per cartelle di pagamento, tasse e tributi; ma anche bollette per utenze di luce, telefono, gas, condominio, affitto, pensioni, stipendio, agenzia immobiliare: insomma quando il pagamento non è più dovuto
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Debiti, utenze, bollette, rate della banca, condomino, assicurazione, cartelle di pagamento. Ovvero due dei quattro o cinque incubi fissi della nostra vita (tra gli altri incubi si possono citare le tasse, la mancanza di wi-fi e lo scudetto vinto dalla squadra nemica). Debiti e cartelle di pagamento ci perseguitano, ma fino ad un certo punto: anche per loro – a differenza di scudetti e wi-fi – ci sono dei termini di prescrizione. Oltre i quali, nulla è più dovuto. Basta. Finish. Nessun pignoramento in vista, nessuna minaccia d’ipoteca se l’Agenzia di riscossione si dimentica di noi perché la nostra pratica è finita nella montagna polverosa delle scartoffie. Stessa cosa dicasi quando il creditore è un soggetto privato: bollette per utenze della luce, del telefono del gas; ma anche condominio, debiti con la banca, con professionisti, contratti di tutti i tipi. Ma quali sono questi termini di prescrizione (o data di scadenza che dir si voglia) per i debiti contratti, compresi quelli delle cartelle di pagamento che «gentilmente» il Fisco ci invia con tanti auguri? Se mi seguite fino in fondo, ve lo spiego.

Cartella di pagamento: quali termini di prescrizione?

Punto primo: una cosa è la cartella, altra cosa è il debito contenuto nella cartella. E’ dal debito che dipende il tempo di prescrizione, non dalla cartella di pagamento. Il contenuto, non il contenitore.

Perché non esiste una sola cartella, quindi non esiste un solo debito. Ergo, nemmeno una sola prescrizione. Nella cartella di pagamento ci può essere una multa per eccesso di velocità, un debito con l’Inps, Irpef e Iva non pagate. Quindi, a seconda del credito indicato nella cartella cambia il tempo di prescrizione. Perché una stessa cartella può contenere più debiti: uno che va in prescrizione dopo 5 anni (come può essere l’Imu) ed un altro dopo 10 anni, come il canone Rai. In questo caso, la cartella va parzialmente in prescrizione. Vuol dire che si estingue solo un debito, non l’altro.

C’è, però, un termine di prescrizione per la cartella di pagamento per intero: quando la cartella è stata impugnata con ricorso, cioè è stata oggetto di causa in Tribunale. Se viene contestata in toto ed il giudice rigetta il ricorso con una sentenza di condanna, la prescrizione è sempre di 10 anni indipendentemente dal contenuto, cioè dal tipo di debito contestato al contribuente. La prescrizione, infatti, non interessa la cartella ma la sentenza che, come tutte le sentenze, «scadono» solo dopo 10 anni. Perché? Lo spiega la giurisprudenza: una cartella di pagamento non è un titolo giudiziale, quindi non ha la stessa natura giuridica di una sentenza. Significa che la prescrizione della cartella fa riferimento al credito, mentre per quella della sentenza si applica il termine dei 10 anni. In altre parole: se il debito dell’Imu contenuto in una cartella ha un termine di prescrizione di 5 anni, valgono i 5 anni. Se contesto la cartella e ho una sentenza che non mi dà ragione, il termine di prescrizione è di 10 anni. Ma, se continuate a seguirmi fino in fondo, ve lo spiego.

Come sapere se il debito in cartella è in prescrizione?

Prima che una cosa finisca deve avere un inizio. Quindi, prima che una cartella cada in prescrizione, deve avere una data di comunicazione. Cioè, il conto alla rovescia deve partire dal momento in cui l’importo contestato è dovuto.

Ogni cartella di pagamento riporta (o deve riportare) in modo dettagliato quello che c’è da pagare, il perché lo si deve pagare e l’anno in cui quell’importo non è stato pagato. Ecco da dove parte il conto alla rovescia: dall’anno a cui si riferiscono causale ed importi.

Può capitare, però, che un contribuente sbadato perda la cartella di pagamento. Da sbadato deve diventare sveglio e chiedere all’Agenzia di riscossione la stampa dell’estratto di ruolo. Che sarà mai? È un semplice documento che contiene gli elementi delle cartelle esattoriali e dei ruoli in essa contenuti. Non è un atto impositivo e non rientra tra i cosiddetti atti impugnabili prescritti dalla legge. Bene.

Detto questo, il contribuente deve dare un’occhiata all’estratto di ruolo. Se in quel documento vengono riportati dei debiti, cioè delle cartelle che non gli sono mai state notificate, non deve fare altro che portarli sul tavolo di un giudice. Ma solo quelle che non le sono state notificate, perché in tutti gli altri casi, l’estratto di ruolo non è impugnabile. Perché è così importante leggere bene l’estratto di ruolo? Perché se su quel documento sono indicati dei crediti andati in prescrizione, l’unico modo per difendersi è quello di presentare un’istanza in autotutela o attendere il successivo atto dell’Agenzia di riscossione (una diffida, un sollecito di pagamento, un pignoramento, un avviso di fermo o un’ipoteca).

Se i termini di prescrizione dei debiti in cartella sono scaduti?

Scatta la prescrizione del debito in cartella e si può mettere lo spumante in frigo. Qualsiasi contestazione, qualsiasi azione esecutiva o cautelare diventa illegittima. Risponde il tribunale ordinario ad un tentativo di pignoramento. Per fermi o ipoteche, se mi continuate a seguire fino in fondo ve lo spiego.

Siccome non c’è miglior difesa di un buon attacco, quando un debito contenuto in una cartella va in prescrizione tanto vale dirlo subito e farlo sapere all’Agenzia di riscossione e al creditore che si sta per stappare lo spumante, nel caso volessero un bicchierino.

Prima di aprire il frigo, però, è opportuno presentare un’istanza in autotutela (attraverso raccomandata a.r. o con posta elettronica certificata) indirizzata all’amministrazione titolare del credito (meglio che una copia sia indirizzata, per conoscenza, anche all’Agenzia di riscossione. Si eviterà così un ricorso al giudice ed una parcella all’avvocato, entrambe inutili in questo caso.

Con l’istanza – che può essere presentata in carta semplice, esente da bollo, firmata dallo stesso contribuente senza bisogno di difensore tecnico – si deve chiedere lo sgravio della cartella di pagamento per intervenuta prescrizione del debito.

L’istanza in autotutela non sospende i termini per presentare ricorso al giudice contro eventuali preavvisi di fermo/ipoteca o pignoramenti, né sospende l’esecutività della cartella. In più, il silenzio dell’ente si considera rigetto e, pertanto, in caso di mancata risposta, si dovrà necessariamente adire il giudice.

Quali sono i termini di prescrizione delle cartelle di pagamento

Come detto all’inizio, ogni cartella di pagamento – a seconda del debito contenuto – ha un termine di prescrizione. Carta, penna e calamaio e prendete nota dei singoli termini di prescrizione:

tributi erariali come Irpef, Iva, Ires, Imposta di registro, imposte ipocatastali: prescrizione di 10 anni decorrente dalla scadenza del termine per il pagamento (60 giorni dalla notifica) o – come detto – se la cartella è impugnata, dal passaggio in giudicato della sentenza;
sanzioni (multa per violazione del codice della strada, protesto,ecc.): prescrizione in 5 anni decorrenti dal giorno della violazione. Anche in questo caso, tuttavia, se il titolo alla base del credito azionato è una sentenza passata in giudicato, si applica il termine di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza [1];
tributi locali periodici (Tasi, Tarsu, Tari, Tosap e Imu): prescrizione in 5 anni. Ma se il titolo è una sentenza passata in giudicato, si applica il termine di 10 anni.

Attenzione, però: in caso di accertamento immediatamente esecutivo, se il contribuente non lo contesta, l’Agenzia di riscossione deve iniziare l’esecuzione con la notifica del pignoramento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo [2]. Tuttavia, se l’Agenzia procede in base a sentenza, si applica anche in questo caso il termine di prescrizione di 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza per quanto spiegato sopra.

Andiamo avanti.

contributi previdenziali dovuti all’Inps o all’Inail: prescrizione dopo 5 anni (se, però, dovuti per periodi antecedenti al 1.01.1996, si prescrivono in 10 anni);
contributi minori (DS, TBC, ENAOLI, SSN, ecc.) e quelli dovuti da artigiani, esercenti attività commerciali e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata: prescrizione dopo 5 anni;
bollo auto: prescrizione dopo 3 anni decorrenti dal terzo anno successivo a quello a cui si riferisce il pagamento;
canone Rai: prescrizione dopo 10 anni a partire dalla fine di gennaio dell’anno in cui sarebbe dovuto essere corrisposto;
diritti della Camera di Commercio: non esiste una specifica normativa per cui, secondo la tesi maggioritaria, si applica il termine ordinario di 10 anni. Secondo qualche giudice, invece, si applica il termine di 5 anni trattandosi di somme dovute con cadenza periodica [3].

Lo schema dei termini di prescrizione delle cartelle di pagamento lo troverete a fine articolo, nella tabella A.

L’interruzione della prescrizione dei debiti in cartella

Chi tace acconsente, ma chi parla può interrompere i termini di prescrizione dei debiti contenuti nella cartella di pagamento. Così, l’Agenzia di riscossione può sospendere il decorso del termine di prescrizione notificando al contribuente uno dei seguenti atti con raccomandata a.r. o con posta certificata (ci deve essere la prova del ricevimento):

– la medesima cartella di pagamento;
– un’intimazione di pagamento;
– l’atto di pignoramento;
– il preavviso di iscrizione di fermo del veicolo o di ipoteca sull’immobile: sul punto non vi è uniformità di vedute; il nostro personale convincimento, tuttavia, è che il preavviso di fermo/ipoteca interrompa la prescrizione laddove contenga una precisa indicazione della causa del credito, dell’importo dovuto e intimi espressamente il pagamento.

Morale di tutto questo? Il termine di prescrizione inizia a decorrere nuovamente da capo dal giorno successivo alla notifica dell’atto stesso.

I termini di notifica del debito nelle cartelle di pagamento

Le cartelle di pagamento relative al debito dei contribuenti per imposte sui redditi (per es. Irpef) e Iva devono essere notificate, a pena di decadenza, nei termini esposti nella tabella B riportata in fondo all’articolo (se continuerete a seguirmi fino in fondo, ve lo spiego). La data di esecutività del ruolo e quella della sua consegna all’agente della riscossione sono privi di rilevanza per il contribuente. L’onere di provare il rispetto dei termini grava sull’Amministrazione finanziaria.

Per i tributi diversi da imposte sui redditi e Iva, si applicano i termini di decadenza previsti dalle singole normative. Facciamo un esempio: per la riscossione delle imposte indirette diverse dall’Iva – imposta di registro, di successione, ipotecarie e catastali, Invim – si applica solo il termine di prescrizione di 10 anni. Secondo una parte della giurisprudenza, invece, si applica anche in questo caso il termine del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Ma non è il caso di discutere. Perché, in ogni caso, se la notifica non avviene entro i termini citati, l’Ufficio perde definitivamente il diritto a richiedere il pagamento dei tributi dovuti. E chi si è visto si è visto.

La prescrizione di un debito non contenuto in cartella

Non tutti i debiti sono contenuti in una cartella esattoriale. Quelli contratti con una banca, con un’azienda o con un artigiano, con la compagnia di assicurazioni o con un commerciante non ci arriveranno mai dall’Agenzia di riscossione ma ci arriveranno eccome.

Ora, anche quelli vanno in prescrizione a seconda del tipo di debito. E quando scadono, il creditore non può più pretendere nulla, nemmeno se si rivolge a un giudice. Non ci sarà un pignoramento, una causa. Purché non ci sia un atto interruttivo della prescrizione. In questo caso, come per le cartelle di pagamento, la prescrizione del debito può essere interrotta. E la decorrenza della prescrizione ripartirà da capo. Meglio fare un esempio? Facciamolo.

Firmo con una finanziaria un contratto la cui prescrizione scade nel 2027. Ma nel 2020, la finanziaria mi sollecita – con raccomandata a.r. – il pagamento. A questo punto, la prescrizione di 10 anni scadrà nel 2030. Se sono ancora vivo. E, per una volta, non è una battuta: se muore il debitore prima che scada il debito, a risponderne sono i suoi eredi, a meno che abbiano rifiutato l’eredità.

Attenzione, però: se interviene un atto interruttivo della prescrizione il termine potrebbe esserecosì lungo da non arrivare mai a prescriversi.

Ma che cosa può interrompere la prescrizione di un debito?

– un atto inviato dal creditore: la diffida, il sollecito di pagamento, la notifica di un atto di citazione o di un precetto. Sappiate, comunque, che la richiesta di pagamento deve indicare con esattezza l’entità del credito e la sua causa;
– un atto proveniente dal debitore: l’ammissione del debito, la richiesta di dilazione del pagamento, la richiesta di saldo e stralcio o di qualsiasi altro sconto o transazione, ecc.

I termini di prescrizione di un debito

Se ancora vi resta inchiostro nel calamaio, carta e penna pronte per segnarvi i termini di prescrizione di un debito, che troverete, comunque, schematizzati nella tabella C a fondo articolo.

Partiamo da due regole di principio:

per i debiti derivanti da contratti o atti leciti (salvo i casi speciali che diremo in seguito),la prescrizione è di 10 anni;
per i debiti derivanti da atti illeciti (il danneggiamento di un balcone per via dei calcinacci caduti sul piano di sotto o la ferita provocata durante una rissa), la prescrizione è di 5 anni.

Detto questo, ci sono molti casi in cui la prescrizione del debito può essere inferiore, pur restando il termine massimo fissato in 10 anni. Riempite il calamaio di inchiostro e segnatevi quando il debito cade in prescrizione:

– debiti con banche e finanziarie: 10 anni [4];
– rate di mutuo: 10 anni [4];
– debiti per bollette del telefono, luce e gas: 5 anni a partire dalla data di scadenza della bolletta [5]. Se però l’utente fa causa e perde, il debito si prescrive in 10 anni;
– spese condominiali: 5 anni [5];
– diritto al risarcimento in caso di incidenti stradali: 2 anni [6];
– singole annualità di rendite vitalizie: 5 anni [5];
– le singole annualità delle pensioni alimentari: 5 anni [5];
canone di affitto di un appartamento, sia ad uso abitativo sia commerciale: 5 anni [5];
– pagamento, da parte dell’inquilino, degli oneri di condominio in un appartamento preso in affitto: 5 anni [5];
– affitti dei beni rustici: 5 anni [5];
interessi dovuti alla banca: 5 anni [5];
– interessi dovuti a qualsiasi altro creditore: 5 anni [5];
– tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi: 5 anni [5];
– diritto al pagamento dello stipendio per il lavoratore dipendente: 5 anni [5];
– diritto al pagamento del Tfr e di tutte le altre indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro: 5 anni [5];
– pagamento degli utili da parte di una società: 5 anni [7];
– possibilità dei soci di agire contro gli amministratori della società, per responsabilità nella gestione: 5 anni [7];
– diritto del mediatore a vedersi pagata la propria provvigione: 1 anno [8];
– diritto dell’agente immobiliare al compenso per una vendita o un affitto: 1 anno [8];
– diritti derivanti dal contratto di spedizione e dal contratto di trasporto: 1 anno [9];
– pagamento del premio da pagare all’assicurazione per la polizza (di qualsiasi polizza si tratti): 1 anno dalle singole scadenze, siano esse mensilità, semestralità o annualità (a seconda del contratto) [10];
– diritto al pagamento del risarcimento in caso di assicurazione sulla vita: 10 anni [10];
Рaltri diritti derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione: 2 anni dal giorno in cui si ̬ verificato il fatto su cui il diritto si fonda [10];
– pagamento per il pernottamento in un hotel, albergo, ostello, affittacamere, bed & breakfast: 6 mesi [11];
– pagamento delle lezioni private a insegnanti che impartiscono però le lezioni entro i limiti prestabiliti, a giorni o a singole ore, e comunque non oltre un mese: 1 anno [12];
– pagamento delle retribuzioni per prestazioni di lavoro non superiori a un mese: 1 anno [12];
– pagamento di convitti: 1 anno [12];
– pagamento dei commercianti, per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio; 1 anno [12];
– pagamento dei farmacisti per le medicine acquistate presso la farmacia: 1 anno [12];
– pagamento dei corsi di lingua inglese o altre lingue ad insegnanti privati: 3 anni [13];
– pagamento delle lezioni private a insegnanti che impartiscono però le lezioni a termini più lunghi di un mese: 3 anni [13];
– pagamento dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese: 3 anni [13];
– pagamento dei compensi dei professionisti, per l’opera prestata e per il rimborso delle spese vive sostenute: 3 anni [13]. Se però il professionista ha fatto firmare al cliente un contratto, vale il termine generale di 10 anni;
– pagamento del notaio: 3 anni [13];
– risarcimento o restituzione del prezzo, da parte del negoziante, per aver acquistato un oggetto difettoso: per contestare il difetto ci sono 60 giorni; per agire in causa 26 mesi dalla scoperta del difetto; ciò vale solo se l’acquirente è un consumatore. Se invece si tratta di un soggetto che ha acquistato con partita Iva, la contestazione va fatta entro 8 giorni dalla scoperta del vizio e la prescrizione dell’azione è di 1 anno dall’acquisto;
diritto di recesso in caso di acquisto di un prodotto fuori dal negozio (vendite su internet, su corrispondenza, televendite, telemarketing, ecc.): 14 giorni;
– diritto di recesso su pacchetti viaggio acquistati su internet: 14 giorni;
– diritto di recesso su contratti bancari o assicurazioni acquistati su Internet: 14 giorni;
– diritto di recesso su finanziamenti stipulati via Internet: 14 giorni;
– diritto di recesso da una polizza vita: 30 giorni;
– iscrizione a scuole e palestre private: 1 anno [12];
– contestazioni per lavori affidati a ditte di riparazione, manutenzione: la contestazione va inviata entro 8 giorni dalla scoperta del vizio; la causa va avviata entro 1 anno;
– contestazioni al costruttore del palazzo per gravi difetti strutturali: la garanzia opera per 10 anni; la contestazione va inviata entro 1 anno dalla scoperta del vizio; la causa va avviata entro l’anno successivo;
vacanza rovinata per pacchetto viaggi non conforme alle promesse: presentazione reclamo: 10 giorni dal rientro; prescrizione in caso di danni alla persona: 3 anni dal rientro; prescrizione in caso di danni alla persona dovuti al trasporto: 1 anno dal rientro (18 mesi se il trasporto parte o arriva fuori Europa); prescrizione in caso di altri danni: 1 anno dal rientro;
– contestazione danni e vizi su contratti di appalto: denuncia entro 60 giorni dalla scoperta. La prescrizione della causa è di 2 anni. La prescrizione decorre dalla consegna dell’opera;
– contestazione danno da prodotti difettosi: 3 anni dalla scoperta;
assegni: 6 mesi. Dopo tale termine non sono più titoli esecutivi (e quindi non legittimano l’immediato pignoramento) ma comunque restano prove scritte del credito e consentono l’emissione di un decreto ingiuntivo;
cambiali: 3 anni. Dopo tale termine non sono più titoli esecutivi (e quindi non legittimano l’immediato pignoramento) ma comunque restano prove scritte del credito e consentono l’emissione di un decreto ingiuntivo;
riconoscimento della qualifica superiore per il lavoratore dipendente: 10 anni;
– il pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro: 5 anni;
demansionamento da parte del datore di lavoro: 10 anni;
– pagamento della retribuzione (busta paga) del lavoratore dipendente part time o full time, sia nel pubblico che nel privato: 5 anni;
– pagamento del prezzo per acquisti in genere: 10 anni.

TABELLA A: I TERMINI DI PRESCRIZIONE DELLE CARTELLE

TABELLA B: I TERMINI DI NOTIFICA DEL DEBITO

TABELLA C: I TERMINI DI PRESCRIZIONE DEL DEBITO NON IN CARTELLA




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