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A CURA DI MARCO LARASPATA.

Reati fiscali depenalizzati: le nuove soglie
I nuovi limiti oltre i quali scatta il reato: omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e Iva, omesso versamento delle ritenute e Iva, infedele dichiarazione.

A seguito del decreto di riforma fiscale appena approvato dal governo, sebbene non sia intervenuta – così come, in un primo tempo, ci si attendeva – quella generale depenalizzazione dei reati tributari meno gravi, sono state tuttavia elevate quasi tutte le soglie di punibilità. La conseguenza è l’esclusione, tanto dall’ambito del penale quanto dall’illecito amministrativo, di una serie di condotte – quelle cioè che non rientrano nei nuovi limiti, più alti dei precedenti – che prima erano considerate reato. In buona sostanza, quando l’imposta evasa non raggiungerà le nuove soglie, il contribuente non subirà né la sanzione amministrativa, né il processo penale mentre, in precedenza, era comunque soggetto a quest’ultimo patibolo.

Vediamo, in questa breve e sintetica scheda, tutte le ipotesi che sono state depenalizzate. Con questa importante precisazione: in base al principio del favor rei, le nuove previsioni (più favorevoli, appunto, al colpevole) non si applicano solo ai casi futuri, quelli cioè in cui il contribuente compia l’illecito dopo 15 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo, ma anche ai casi precedenti. Stabilisce, infatti, il codice penale [1], che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti pena.

Risultato: la “depenalizzazione” riguarderà:

– sia coloro che non hanno ancora commesso l’illecito e lo commetteranno nei prossimi mesi/anni,

– sia coloro che lo hanno già commesso ma non sono stati ancora scoperti

– sia coloro che, avendo già ricevuto l’avviso bonario (ovvero sottoposti a controllo), sono stati già segnalati all’Autorità giudiziaria, anche se il procedimento penale sia in corso.

OMESSA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E IVA

Non saranno più punite le violazioni con imposta evasa da 30.000 a 50.000 euro, in precedenza invece costituenti reato.

Infatti, con la riforma, la soglia di punibilità del reato si eleva di 20mila euro, passando da 30 a 50mila. A seguito della pubblicazione del decreto, quindi, il procedimento penale scatterà solo per le violazioni superiori a 50 mila euro.

Questo vale sia le imposte sui redditi o Iva (a questo proposito ricordiamo che le due imposte non si sommano).

Per esempio: chi, nell’ambito del periodo di imposta 2014 abbia omesso la dichiarazione e l’imposta evasa ammonti a 45 mila euro, starà al sicuro da conseguenze penali (restano ovviamente le conseguenze di carattere tributario, con il recupero a tassazione dell’imposta evasa).

Viene tuttavia inasprita la pena che ora diventa da un minimo di 1 anno e 6 mesi a un massimo di 4 anni (in precedenza era da 1 a 3 anni).

Come evitare la condanna
Per chi rientra, invece, nei limiti del reato, è stata introdotta una causa di non punibilità mediante ilpagamento di quanto dovuto attraverso il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione, solo se il contribuente non abbia formale conoscenza di attività di accertamento amministrativo o penale nei suoi confronti.

DICHIARAZIONE INFEDELE

In questo caso la depenalizzazione riguarda tutti i casi in cui:

– l’imposta evasa sia superiore a 50.000 euro e inferiore a 150.000 euro;

– il valore assoluto di imponibile evaso sia superiore a 2 milioni e inferiore a 3.

Infatti, con la riforma, la nuova soglia di punibilità scatta solo dopo 150.000 euro (in precedenzaera 50mila) e con un valore imponibile di 3 milioni (in precedenza, di 2).

Come evitare la condanna
Anche in questo caso, chi rientra nei limiti del reato ed è quindi passibile di procedimento penale potrà usufruire di una causa di non punibilità mediante il pagamento di quanto dovuto attraverso il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione, a condizione che non abbia formale conoscenza di attività di accertamento amministrativo o penale nei suoi confronti.

OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE

Anche qui, con la riforma, il reato scatta solo a partire da 150.000 euro in su (in precedenza la soglia era 50mila). Con la conseguenza che sono state depenalizzate tutte le condotte rientranti nella forbice tra 50 e 150mila: queste non saranno più soggette ad alcuna sanzione né amministrativa, né penale (resta ferma, ovviamente, la sanzione tributaria con il recupero della tassazione).

Pertanto, con l’entrata in vigore del decreto delegato, saranno al riparo dal rischio penale imprese e professionisti che nei giorni scorsi (entro il 21 settembre) hanno omesso di versare le ritenute di acconto certificate relative al 2014 per importi superiori a 50.000 euro, ma non a 150.000.

OMESSO VERSAMENTO IVA

In questo caso, la depenalizzazione riguarda tutte le condotte di evasione da 50.000 a 250.000 euro.

In pratica, a partire dal prossimo 28 dicembre prossimo (il 27 è domenica), che è la data di scadenza del pagamento dell’acconto IVA, per le omissioni penalmente rilevanti il procedimento penale scatterà solo in caso di violazione della nuova e più alta soglia di punibilità pari a 250.000 euro (fino ad oggi è stata di 50mila euro).

Come evitare la condanna
Nel caso di reato di omesso versamento delle ritenute, dell’Iva e per indebita compensazione di crediti non spettanti, coloro che rientrano nelle nuove soglie di reato potranno comunque beneficiare della non punibilità a condizione che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, vengano versate le somme dovute comprese sanzioni e interessi. Si può eseguire il pagamento avvalendosi dei diversi istituti deflattivi previsti nell’ordinamento tributario, quali l’adesione all’accertamento, procedure conciliative ovvero il ravvedimento operoso.

Se il contribuente si avvale della rateazione, i pagamenti devono concludersi al massimo entro 6 mesi dall’udienza dell’apertura del dibattimento: è infatti prevista una tolleranza di tre mesi e una proroga di altri tre mesi (quest’ultima a discrezione del giudice penale).

[1] Art. 2 cod. pen.

 


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