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Sangheturc: Forio torna noir!

Nel 2018 arriva l’attesissimo sequel de IL PAESE NASCONDE: tra tradizione letteraria e nuovi mezzi di promozione e distribuzione, Andrea Esposito ci racconta il suo romanzo più nero. I lettori sono avvertiti: anime buone e lieto fine non abitano qui

L’autore è il re indiscusso del romanzo nero made in Ischia. Con “Sangheturc” (sangue di turco, l’epiteto che a Forio si usa per indicare gli animi ribollenti) torna a raccontare la sua terra natia. Non è finita, sono ancora lì i personaggi che hanno letteralmente conquistato migliaia di lettori ben sei anni fa. E’ arrivato finalmente il momento dell’attesissimo sequel de il Paese Nasconde, pluripremiato romanzo d’esordio del noirista isolano. Andrea Esposito ci rivela quello che può, senza svelare nulla dell’incredibile susseguirsi di colpi di scena che terranno il lettore incollato alle pagine, dalla prima all’ultima.

Innanzitutto tornano a darsi battaglia Ottava Torre e la Mara Gang dei latinos residenti sull’isola?
I tempi sono cambiati anche per loro, nel mondo tutto è mutevole e anche nei romanzi i personaggi non devono rimanere cristallizzati. In entrambe i gruppi criminali avviene un’evoluzione. Ottava Torre da grezza banda di picchiatori, muratori, disoccupati e disperati, guidata da Leandro ‘u Toro, si trasforma in vero e proprio clan, piramidale e affaristico. Oggi è formata dagli ormeggiatori del porto di Forio e guidata dal fratello di ‘u Toro, Amerigo detto ‘u Negus, un bestione dal cervello fino che ha fatto evolvere una marmaglia disordinata in un piccolo esercito privato. Amerigo, insieme ai suoi muscolosi e aggressivi uomini fidati, utilizza l’approdo foriano come fonte di guadagno e clientela.

La Mara Gang sembra invece subire l’evoluzione opposta, è così?
Esatto, da sacra famiglia patriarcale sotto la guida del Rey Supremo, legata a riti di affiliazione e fedeltà simbolici e violentissimi, è stata modernizzata da Juan Amaya, giovane figlio di El Bolivar, uomo d’affari lucidissimo e senza scrupoli che se ne frega delle regole ferree e dei tabù intoccabili fissati dal padre, ormai anziano ed isolato. Juan non esita a trasformare la familia in padilla, bocca di fuoco, gruppo d’assalto, organizzato e armato fino ai denti. Non si fa remore ad abbandonare le guerre tra poveri con i malavitosi rumeni presenti sull’isola e ne imbarca il fratello del boss, Ziegaska, nella sua impresa criminale.

Dunque niente più tatuaggi, pestaggi e stupri, contano solo i soldi, da fare in qualsiasi modo e alleandosi con chiunque?
Il giovane latino usa una frase che spiega tutto, dice “noi siamo il tempo presente” e in questo diventa lo steriotipo di tutti i criminali odierni, dal camorrista allo ndranghetista al narcos. Lo scontro si rinnova, ma su un piano diverso: dal nudo controllo del territorio al più complesso sfruttamento dello stesso, una metafora dei tempi che cambiano vorticosamente intorno a noi, anche in pochissimi anni come quelli che separano il primo romanzo dal suo sequel.

Come in tutti i tuoi romanzi hai mantenuto le due caratteristiche principali: la trama doppia e l’intreccio tra le due storie. Raccontacele.
Se il paese – con la sua gente ambigua e sanguigna, i paesaggi mozzafiato e la bellezza senza eguali della sua architettura – è il microcosmo nel quale si muovono i protagonisti, le vicende dei due gruppi sono la cortina fumogena che nasconde la crime-story vera e propria.

Ancora una volta paghi con passione il doveroso tributo d’amore per la tua terra, plasmando sui tuoi personaggi alcune figure caratteristiche della Forio passata e presente, così com’è stato per il primo capitolo della saga?
Si, se nel “Paese Nasconde” Taki e Peperone su tutti erano facilmente riconoscibili, in questo nuovo romanzo la libreria del Capitano Vito Mattera, la bottega dei cestelli di rafia di Maria ‘e Scialò, gli storici ristorantini sul porto da “Pappone” alla “Romantica”, la tabaccheria di “Vito ‘e Giò” a Monterone, le pizzette da asporto della rosticceria di “Franchino Disturbo” o il bar di “Pietro ‘e Camillo” nel cuore del centro storico, diventano qualcosa di più che un omaggio. Sono veri e propri simboli, in alcuni casi esasperati, volutamente provinciali e per questo ingannatori, della Forio che amiamo e che vorremmo che fosse.

LA TRAMA
Il prologo apre il racconto, siamo nel giugno 1982, sera finale della festa del patrono. Sul porto comincia lo spettacolo dei fuochi pirotecnici e, mentre gli ormeggiatori si affannano a spostare le cime delle barche per evitare che vadano a fuoco, due ragazzini si dondolano seduti sul molo, con i piedi sull’acqua. Uno confessa all’altro il più terribile dei segreti: ha ucciso una bambina, quasi una loro coetanea, l’ha fatta fuori per gelosia. Aveva tutto ciò che desiderava grazie al lavoro della sua mamma. ‘Ngiulina è la figlia dell’unica puttana del paese. Salto temporale di oltre trent’anni: siamo ai giorni nostri e, fuori all’arciconfraternita di Visitapoveri, viene ritrovato il cadavere brutalizzato e orrendamente mutilato di una prostituta. È assurdo, inverosimile, eppure sono la stessa persona, quella donna è la stessa bambina divenuta adulta. Come è possibile? Il caso è affidato alla vicequestore Angela Migliore e al suo braccio destro, corrotto e immorale ispettore Ciro Carbone. Gli inquirenti si trovano a dover soppesare la confessione di Roberto Olida, amico di Carbone ed ex organizzatore di eventi mondani sull’isola. Egli sostiene di essere uno dei due ragazzi sul molo nel 1982: colui che ha raccolto la confessione del presunto assassino. Di quel compagno di giochi non ricorda il nome ma solo l’aspetto fisico. Il dato di fatto innegabile è che il corpo di Angelina, la figlia di Gemma la puttana, prima prostituta del paese, è quello che giace adesso all’obitorio, una splendida donna dai capelli biondi e il seno rifatto. Non certo quello di una bambina scomparsa nel nulla trent’anni prima della quale molti in paese cominciano a dubitare della stessa esistenza. Ma allora perché gli investigatori credono alla storia assurda raccontata da Olida? Per via di un biglietto, un enigmatico richiamo lasciato dall’assassino che cita una frase in latino presente nella chiesa di Visitapoveri, sul sagrato della quale non solo è stato ritrovato il corpo ma affaccia anche il balconcino coperto di geranei di Gemma, ormai non più donna di malaffare ma simpatica e ingobbita vecchina. Quella frase, scolpita in eterno nella chiesa, è la stessa che compare su di uno striscione affisso sul porto, in una foto della festa del patrono edizione 1982, la stessa sera nella quale Olida si ostina a dirsi testimone della confessione di un delitto. L’ispettore Carbone, dapprima esaltato dalla grande indagine, deve ammettere a malincuore davanti alla sua superiore di non essere all’altezza. La vicequestore chiede così l’aiuto dell’UCS, l’unità speciale per i crimini seriali, guidata da Marco Ranieri e della quale fanno parte il vecchio profiler inglese sir James Winterbourn e la patologa forense Penelope Arce. Naturalmente fin da subito nulla è come sembra: gli intrecci e i colpi di scena si susseguono intricando ancor di più e poi (solo alle ultimissime pagine) dipanando una trama che ci regala il miglior Esposito, in una forma narrativa strepitosa per un noir che torna a raccontare la sua terra dopo il grande successo de IL PAESE NASCONDE: Sangheturc è a tinte forti, pieno di atmosfere cupe e un rovente ribollire di personaggi di cui ci innamoriamo subito, grandi passioni non certo tutte positive e soprattutto nessuna redenzione.


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