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Pretesa e immobilità a fondamento del mito di Tifeo e delle trame relazionali ischitane

Perché nei miti ritroviamo quelle emozioni che caratterizzano una Cultura
Una importante componente della Cultura Locale ischitana viene ben rappresentata nel mito di Tifeo, gigante che pretese il trono olimpico, generato per distruggere Zeus e instaurare, più che il caos, un nuovo ordine gerarchico. Possente, spaventoso, pretenzioso riuscì a rendere impotente, immobilizzandolo grazie all’asportazione dei tendini, il re degli dei. Ma non per sempre. Dopo non molto sarebbe toccato allo stesso Tifeo il destino dell’immobilità (bloccato sotto l’isola) e dell’impossibilità di potenza.

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Sottomesso, esala benefici per i terrestri, sotto forma di terme e vapori. Fin quando non si ribella di nuovo, facendo tremare la terra. Ma non è una ribellione fine a se stessa; il ruolo che gli appartiene dalla nascita persegue uno specifico, inconsapevole obiettivo: vendicare i Titani a cui Zeus non ha destinato una sorte benevola. Tifeo, per quanto gli riguarda, lotta solo per il potere. Quel ruolo, che non ha funzioni vere e proprie ma si esaurisce in se stesso, lo rende cieco a strategie, prodotti, competenze; gli fa pretendere l’annientamento dello status quo. Ha un bisogno impellente di Zeus, di trovarlo, di sconfiggerlo. Dipende da lui, la sua stessa esistenza è dedicata a lui; è stato creato per questo. Pretende in base al ruolo, in base a un copione assegnatogli, senza avere funzioni e riuscire a produrre con competenza. Anzi, viene proprio generato dalla pretesa di una furibonda Gea che, per vendicare i figli, non si espone in prima persona, non chiede, non mette in gioco la propria reputazione, non comunica. E non può quindi sfuggire all’impotenza, che inesorabilmente ricadrà su di lui come un macigno, sotto il peso di un’isola che, paralizzandolo, potrà godere di salutari effluvi e fumi. Almeno fin quando si riuscirà a gestire l’igneo mostro.

Gea non sa mediare una soluzione più accettabile per i Titani sconfitti da Zeus facendo leva sulle funzioni del proprio ruolo ma, per lesa maestà, ricorre all’aggressione distruttiva procreando il “fortissimo Tifone”; disancora le funzioni dall’importante ruolo che riveste tra gli dei e fa emergere la sola componente emozionale del ruolo stesso: rivendica i propri diritti pretendendo. Vuole quel potere che Zeus è riuscito a conquistare, senza proporre soluzioni né mediazioni. Non avendo potuto detronizzare il sovrano dell’Olimpo, di tanto in tanto trema. E’ la spiegazione che si è data ai terremoti nella Magna Grecia. Il mito di Tifeo è stato elaborato dando una spiegazione ai fenomeni naturali, intenzionandoli e attribuendo a tali fenomeni emozioni umane. Quelle emozioni che costituiscono le fondamenta di una Cultura Locale. A Tifeo, figlio e incarnazione della pretesa, non è possibile dare risposte che lo soddisfino. E’ un mostro, un desiderio che non è possibile gratificare. L’unica reazione che evoca è la fuga, o l’attacco. Non può esserci scambio attraverso relazioni basate sulla competenza, né dialogo sulle reali motivazioni che spingono chi è mosso dalla pretesa; chi pretende, in fin dei conti, non sa cosa vuole, vuole tutto e niente. Può paralizzare l’altro, renderlo impotente, ma il suo destino è quello di trovarsi a sua volta immobile e di tanto in tanto esprimere rabbia distruttrice per tale condizione; scaricare emozioni primitive che smuovono e sconvolgono temporaneamente, per poi ritornare all’immobilismo e all’impotenza.


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