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Luciano neo-romantico e il tramonto foriano

di Andrea Esposito. Luciano Castaldi ho la presunzione di dire che lo conosco bene, forse meglio di chi ritiene che sia scolpito con l’accetta, spigoloso e troppo “certo delle sue certezze”. Non è così, o meglio non è così semplice ed è questo che mi piace di lui. Definirlo un nostalgico (non nel senso squisitamente politico del termine, per carità! ma nel senso letterale del termine “colui che ha nostalgia di un luogo, un episodio, un’usanza del passato”) è fatalmente riduttivo. L’autore di “Specchi Riflessi” ha composto con cura certosina una raccolta di pensieri che spazia, non solo attraverso i ricordi, ma anche verso i sogni intesi come aspirazioni ad un futuro migliore o quanto meno al futuro che l’autore desidera per se e per i propri cari. L’alchimia gli riesce grazie al più straordinario e meraviglioso mezzo che l’uomo ha per spostarsi nel tempo, la macchina di HG Wells o quella di Ritorno al Futuro. Non è altro che il nostro bagaglio intellettuale (culturale, emotivo, di ricordi e sensazioni perché no) e Castaldi, che è una persona che legge molto e bene, l’ha capito. I suoi ricordi della Forio del passato non mi hanno comunicato malinconia, tutt’altro! Per due motivi: in primis perché l’autore scrive molto bene e chi scrive bene non offre mai una sola angolazione tra le visuali che offre al lettore, ma sempre un caleodoscopio. In secondo luogo perché i ricordi di Castaldi sono desideri, un anelito verso un qualcosa che è stato e – seppur l’autore è ben cosciente che è irripetibile – è fortissimo il desiderio di recuperarne quanto meno una parte, magari minuscola, infinitesimale, ma che ne contenga lo spirito: e così ecco tornare in vita gli odori, le atmosfere e i personaggi di Vico Annunziata, delle tante sagrestie che Luciano bambino ha frequentato insieme ai compagni di giochi, le processioni e le feste comandate nel libro raccontate senza mai calcare la mano sull’aspetto religioso e fideistico degli eventi, argomenti che – in altri luoghi e contesti – Luciano ha difeso e rivendicato col classico e metaforico coltello tra i denti. Ha saputo scrivere un libro che a tratti mi ha provocato il groppo alla gola e mi ha commosso. Accade sempre così a chi scrive, c’è una scintilla che passa velocissima e ti brilla davanti agli occhi, un attimo di estasi quasi mistica, così veloce da sfuggire a volte allo stesso autore che ner rimane incerto. Eppure poi la ritrovi nelle pagine: Luciano c’è riuscito almeno in un occasione, la descrizione del sole che cala su questo nostro paese che tanto amiamo in modo così viscerale e disperato e meraviglioso. Non ho letto in vita mia una descrizione piu’ struggente: “che meraviglia il tramonto a Forio! …il cielo, il mare, il torrione e il Soccorso, e le campane e le sdraio e due innamorati che si baciano sulla spiaggia, e i culi sodi delle belle donne e le chiappe mosce…di quella col telefonino, le bandiere sul lungomare, l’aroma del sigaro di chi gioca a tressette, la zuppa di cozze, la pizza fumante, quelli che provano a scappar via e il tempo li rincorre, il tassista e la colf che spinge la carrozzella dell’anziano, le bolle di sapone di una bimba al balcone, le persiane che si aprono e le tende che si chiudono, le barche che rientrano e l’uva che sta maturando, le bocce al vecchio molo, la barba di Gino Coppa, il nuovo pinocchio di Mariolino e il terzo pacchetto di sigarette che mio fratello sta iniziano, adesso…”. Io sono come lui: amo Forio. Seppur su tantissime cose sono agli antipodi col mio amico Luciano (non mi sognerei mai, tanto per dirne una, di raccontare in tono apologetico Buscaroli e camerati assortiti…) non ha alcuna importanza, così come non ha importanza se Castaldi sia credente o meno, se quella che viene scambiata per “umiltà da chierichetto” sia in realtà la personalità complessa, a volte complessa, di un uomo che si mette continuamente, ossessivamente, sfiancantemente in discussione. Castaldi dunque non è un nostalgico ma un neoromantico e il romanticismo è la somma delle emozioni e le sensazioni che esplodono, turbano e affascinando. Essere neoromantici, al giorno d’oggi e con lo squallore che ci circonda, è probabilmente molto più difficile che essere stati romantici, eppure l’autore – quando descrive la foto che ritrae suo padre di spalle, chino sulla fatica in mezzo al mare con le mani segate dalle reti da pesca, un padre che ha conosciuto troppo poco e sempre meno di quanto avrebbe voluto – riesce a far volar via tutto il resto, insieme a quella voto, insieme a quella barca, insieme a suo padre e non importa null’altro: se si condividano o meno le sferzate polemiche alla Chiesa odierna e al Papa, se la politica della gente perbene di cui parla forse non esiste. Questa è magia e non importa se il Normanno, burbero e scontroso coach del Forio Basket che ha rotto i coglioni ad almeno due generazioni di atleti, sappia o meno di esserne l’artefice. E’ già passata e aspettiamo il prossimo libro.


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