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Aveva ragione Massimo Coppa: per il dipinto “L’isola dei morti” Bocklin si ispirò effettivamente al Castello Aragonese

Lo aveva scritto e ne era convinto da molti anni il giornalista ischitano Massimo Coppa, secondo cui “L’isola dei morti”, il famoso dipinto di Arnold Bocklin, era ispirato all’isola d’Ischia e, precisamente, al Castello Aragonese.

Ma finora si trattava tutt’al più di un’intuizione, di una suggestione, priva di ogni controprova storica e basata solo sulla comprovata presenza ad Ischia dell’artista e su una evidente somiglianza con le pareti rocciose della rocca realizzata da Alfonso d’Aragona.

Secondo l’ufficialità degli storici dell’arte il soggetto ispiratore era da rintracciarsi invece in una veduta dell’isolotto di Pontikonisi, a Corfù, o del “Cimitero degli Inglesi” di Firenze (convinzione confermata dagli amici fiorentini del pittore svizzero).

Invece Massimo Coppa era nel giusto: “L’isola dei morti”, uno dei più suggestivi ed inquietanti dipinti dell’Ottocento, era stato ispirato proprio dall’isolotto ischiapontese e dal Castello.

L’ufficializzazione si avrà venerdì 15 aprile 2011 quando, a Fiesole, all’inaugurazione della mostra “Isole del pensiero. Bocklin, de Chirico, Nunziante”, Hans Holenweg, storico dell’arte svizzero e curatore dell’archivio di Bocklin, annuncerà le sua scoperte.

Per prima cosa spiegherà che il nome del dipinto era proprio “L’isola dei morti”; un titolo voluto dall’autore, mentre finora si pensava che questo nome fosse stato ideato dal mercante d’arte tedesco Fritz Gurlitt. Holenweg ha invece rinvenuto una lettera, datata 19 maggio 1880, che Bocklin spedì ad Alexander Gunther, committente della prima versione, e dove si legge tra l’altro che “’L’isola dei morti’ è pronta, finalmente, e sono convinto che susciterà l’impressione che desidero”. Come effettivamente accadde.

Poi il curatore di Bocklin arriverà al punto che interessa maggiormente gli ischitani, spiegando che l’artista era stato sull’isola nel settembre del 1879 insieme al giovane pittore tedesco Hans von Marées: appena sei mesi dopo ultimò le prime due versioni del dipinto (che ne conta cinque complessivamente).

Holenweg aggiunge che lo stesso artista confidò al suo allievo Friedrich Albert Schmidt che a dargli l’ispirazione fu proprio il Castello Aragonese.

Holenweg ha dichiarato al “Corriere della Sera” che “l’isolotto aragonese presenta notevoli somiglianze con le rocce e le pareti che si ergono sul mare. E poiché in Bocklin la scelta del soggetto nasceva spesso da una suggestione visiva, posso affermare che lo spettacolo di quell’isola rocciosa abbia ispirato in lui la concezione del quadro. Proprio di fronte all’isola con il Castello c’è un cimitero a terrazze addossato alla roccia, con un approdo a riva che sorse nel 1836 durante un’epidemia di colera. Evidentemente a quel tempo i morti venivano trasportati al camposanto anche via mare. E Bocklin, nel 1879, alloggiò a Villa Drago, nei pressi di questo vecchio cimitero, ora ricoperto di sterpaglie e completamente privo di croci”.

Il dipinto ha ossessionato molte grandissime (e controverse) personalità storiche. Hitler tenne esposta la terza versione, del 1883, presso il bunker della Cancelleria, a Berlino, e non se ne separò fino alla fine: quel quadro è oggi sempre a Berlino, ma presso la “Alte Nationalgalerie”.

Lo scrittore Gabriele D’Annunzio ed il rivoluzionario Lenin ne custodivano ed esponevano delle copie presso le loro abitazioni private.

Le cinque versioni variano per colori e luce; la prima è del 1880 ed oggi è al “Kunstmuseum” di Basilea; la seconda, coeva, è al “Metropolitan Museum of Art” di New York; della terza abbiamo detto; la quarta è del 1884 e restò distrutta durante la guerra; l’ultima è del 1886 ed è esposta al “Museum der bildenden Kunste”, a Lipsia.

Il quadro rappresenta una barca con una bianca figura eretta (evidentemente un trapassato) diretta verso un isolotto che si erge su uno specchio d’acqua immobile: i toni sono ossianici e rappresentano bene quel gusto romantico e decadente di molta cultura ottocentesca.


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